Sahara Occidentale: anniversario Rasd e politica di Rabat - di Luciano Ardesi

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Il 27 febbraio scorso la Rasd (Repubblica Araba Sahrawi Democratica) ha festeggiato il 45° anniversario della proclamazione dell’indipendenza del Sahara Occidentale. Quello che allora, all’inizio del 1975, poteva sembrare solo un sogno, poiché da quattro mesi l’esercito del Marocco aveva invaso il territorio di quella che era ancora una colonia spagnola, si è realizzato, anche se solo in parte. Un terzo del territorio è stato liberato ed è governato dalle autorità della Rasd sotto la direzione del Fronte Polisario. Senza più sbocchi al mare, poiché il Marocco occupa tutta la zona affacciata sull’ Atlantico, nei territori liberati risiede una piccola parte della popolazione, dedita alla pastorizia e al commercio, mentre il resto della popolazione vive nei territori occupati o nei campi profughi in Algeria.

Sono proprio i territori occupati a vivere il dramma più buio di questo anniversario. Nessuna manifestazione permessa, nessuna esposizione della bandiera della Rasd tollerata. La repressione è micidiale e centinaia di attivisti o semplici cittadini sahrawi sono in galera, accusati di reati gravissimi. Il Marocco non ammette che si parli di indipendenza sahrawi, malgrado il piano di pace dell’Onu del 1988, che inizialmente aveva approvato, preveda un referendum di autodeterminazione che Rabat oggi più che mai non vuole celebrare.

Ancora qualche giorno fa il presidente della Rasd, Brahim Ghali, ha per l’ennesima volta fatto appello al Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, affinché nomini il suo inviato personale sulla questione per rimettere in moto l’attività diplomatica dell’Onu, praticamente ferma da quando si è dimesso, nel maggio scorso, il precedente incaricato, l’ex presidente tedesco Horst Köhler. L’ultima “tavola rotonda” di incontri indiretti tra le parti, con Algeria e Mauritania in qualità di osservatori, si era svolta nel marzo scorso in Svizzera, peraltro senza risultati.

Mentre la diplomazia sahrawi non si è mai fermata in direzione dell’autodeterminazione e della salvaguardia delle risorse naturali dei territori occupati, quella del Marocco ha imboccato la strada del fatto compiuto. Alla fine di febbraio Burundi e Gibuti si sono aggiunti agli altri sette paesi africani che da dicembre hanno aperto consolati generali a El Aiun o a Dakhla, nei territori occupati. Lo scopo di Rabat è evidente: ottenere implicitamente quel riconoscimento della sua pretesa sovranità sul Sahara Occidentale che né l’Onu né l’Unione Africana, di cui la Rasd è membro fondatore, hanno mai avallato. Quei nove paesi non hanno propri connazionali in quei territori, e gli osservatori hanno evidenziato una “diplomazia del portafoglio” per spiegare le ragioni di così sorprendenti decisioni. Due dei paesi, Sao Tomé e Comore, che si sono lasciati sedurre da questa diplomazia, non hanno neppure un’ambasciata o un consolato in Marocco.

Il parlamento marocchino ha inoltre approvato a fine gennaio due leggi che estendono le competenze giuridiche del Marocco su tutte le acque della frontiera atlantica da Tangeri al confine con la Mauritania, includendo i circa mille chilometri di costa del Sahara Occidentale che ancora una volta nessun organismo internazionale considera appartenenti al Marocco. Fra l’altro la pretesa di Rabat ha provocato frizioni con Madrid, perché impatta sullo spazio marittimo delle Canarie, che si trovano di fronte all’estremo nord delle coste sahrawi.

Ancora prima che il coronavirus imponesse ai diversi paesi del Maghreb, Marocco compreso, la chiusura delle frontiere per determinate destinazioni, da anni Rabat ha imposto il sigillo ai territori occupati per le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, i parlamentari o gli attivisti di diversi paesi che vogliono indagare sulle condizioni della popolazione sahrawi. Tutte le delegazioni sono sistematicamente respinte, l’ultima in ordine di tempo quella di parlamentari catalani a fine febbraio. Il Marocco non tollera notizie sulla reale situazione nei territori occupati, e a dire il vero anche la condizione dei difensori dei diritti umani o della libertà di informazione marocchini, vedi blogger, non è delle migliori.

A proposito del coronavirus, le autorità sahrawi stanno prendendo misure nei campi profughi nel sud dell’Algeria. Una realtà unica al mondo, per auto-organizzazione, ma che rimane forzatamente dipendente dall’aiuto esterno. L’epidemia metterà una volta di più alla prova la forza e la determinazione di questo popolo indomito..

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