In cerca di Europa, l’Albania soccorre l’Italia - di Vittorio Bonanni

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E  così, dopo Cuba, anche un altro piccolo paese, questa volta europeo, non ha esitato ad aiutare l’Italia in occasione dell’emergenza coronavirus. Parliamo dell’Albania, sostenuta dall’Italia in occasione dello storico 1991 quando – all’indomani della caduta del regime comunista - migliaia di albanesi sbarcarono nei porti di Otranto e Bari, fino agli aiuti di oggi.

Pochi giorni fa un gruppo di medici ed infermieri, esattamente trenta, sono infatti stati accolti dagli applausi dei loro colleghi italiani e del terzino del Napoli, Elseid Hysaj, diventato quest’ultimo un po’ un simbolo dell’Albania in Italia. Il presidente del consiglio Conte ha postato l’immagine della bandiera albanese e più di qualcuno ha sottolineato come dal paese delle Aquile sia arrivato quell’aiuto che non è arrivato dall’egoismo del nord Europa.

“Noi non abbandoniamo l’amico in difficoltà”, ha detto con grande semplicità il premier socialista albanese Edi Rama. Parole condivise dal presidente della Repubblica albanese Ilir Meta – fondatore del Movimento socialista per l’integrazione - secondo il quale “la pandemia provocata dal coronavirus Sars-Cov-2 è un pericolo comune, che minaccia i nostri paesi e i nostri cittadini”. Questo gesto ha momentaneamente messo da parte la grave contrapposizione tra il leader socialista e Meta, del quale il Partito socialista (Ps) aveva chiesto le dimissioni dopo l’annullamento delle elezioni amministrative di giugno da parte del capo dello Stato.

Dunque, già dopo questi eventi recentissimi si evince che la storia dell’Albania - nazione che ha manifestato l’intenzione di entrare nell’Ue, forte anche di una crescita economica intorno al 3.9% - sia a dir poco tormentata, per usare un eufemismo, e caratterizzata da continui scontri tra i due principali partiti del paese. Da un lato il Partito socialista, che ha governato dal 1997 al 2005 e successivamente dal 2013 fino al turbolento biennio 2019-20, con la premiership appunto di Edi Rama. Dall’altra parte la destra di Sali Berisha, leader del Partito democratico (Pd) e protagonista nel 1997 dei famigerati “schemi piramidali”, un marketing commerciale ai limiti della legalità che mise sul lastrico la già povera popolazione la quale diede vita a violente manifestazioni di piazza. Evento che lo costrinse dopo cinque anni di governo (1992-1997) alle dimissioni dalle cariche istituzionali ma non dalla leadership della destra albanese, che lo portò a vincere di nuovo le elezioni del 2005 e del 2009, in quest’ultimo caso alleandosi con il Movimento socialista per l’integrazione. Trent’anni dunque di fortissima instabilità tra i due partiti, divenuti nel frattempo tre, con tanto di scontri di piazza e morti.

A casa nostra non sono mancate critiche senza esclusione di colpi, da destra come da sinistra. “Il Giornale”, quotidiano guidato da Alessandro Sallusti, accusa i socialisti di Rama di aver organizzato le elezioni amministrative senza opposizione perché quest’ultima si è rifiutata di partecipare dopo il tentativo fallito del premier di destituire il capo dello Stato. Così i socialisti hanno stravinto in tutte e 61 le località dove si sono presentati, ma con una partecipazione al voto limitata al 21%. Insomma un boomerang per il Ps che ha portato a casa una vittoria dimezzata, ma anche per la destra che chiedeva di non effettuare le elezioni.

Sempre secondo il quotidiano di destra italiano il regime – fonti l’ex presidente Berisha e l’intellettuale Fatos Lubonja – sarebbe in combutta con la criminalità organizzata che avrebbe trasformato il paese in una sorta di narcostato. Illazioni naturalmente respinte dal governo albanese. Le stesse accuse – come riporta “il manifesto” - sarebbero dimostrate da intercettazioni telefoniche pubblicate da varie testate giornalistiche locali. Senza contare il controverso provvedimento dello scorso dicembre sulle “fake news” da molti considerato, secondo fonti riportate sempre dal nostro “quotidiano comunista”, un tentativo di mettere il bavaglio all’opposizione. 

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