Giovani: il rischio di una “generazione del lockdown” - di Silvana Cappuccio

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I giovani sono le principali vittime del terremoto economico provocato dalla pandemia. L’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil-Ilo), l’agenzia delle Nazioni Unite competente in materia di lavoro, disegna un quadro drammatico dell’attuale situazione giovanile, da cui emerge urgente la necessità di politiche e azioni mirate a prevenire la creazione di una “generazione del lockdown”. Lo studio sottolinea gli effetti qualitativamente devastanti e quantitativamente sproporzionati del Covid-19, e analizza le misure atte a creare un ambiente di lavoro sicuro al momento della ripresa.

Nel mondo, più di un giovane su sei ha perso il lavoro e chi lo ha mantenuto lo ha visto ridotto per il 23,5% del suo orario. Dal mese di febbraio la disoccupazione giovanile, soprattutto delle donne, è aumentata rapidamente e massicciamente. L’interruzione dei percorsi di istruzione e formazione ha ulteriormente complicato, se non compromesso, l’accesso e l’avanzamento nel mondo del lavoro.

Già nel 2019 i giovani rappresentavano la fascia di popolazione in cui si concentrava globalmente maggiore disoccupazione, con un tasso del 13,6%. Circa 267 milioni erano i Neet, giovani disoccupati, non impegnati in processi di istruzione né di formazione. Gli occupati di età compresa tra 15 e 24 anni spesso avevano forme di lavoro che li ponevano in condizioni di maggiore vulnerabilità, per basse retribuzioni, informalità nella struttura lavorativa, scarsa sindacalizzazione e mancanza di protezione del rapporto di lavoro. In particolare, oltre tre quarti erano concentrati in attività cosiddette “informali”, soprattutto in Africa e Asia meridionale.

In generale, il tasso di informalità tende ad essere superiore al 95% nei paesi a minore reddito, e al 91,4% nei paesi a basso-medio reddito. Un altro aspetto dell’informalità riguarda le attività in proprio, che riguardano il 39,8% dei giovani, anche se questa percentuale varia dal 10,8% medio in Europa e Asia Centrale al 70,1% in Africa. In questa categoria rientrano coloro che svolgono attività imprenditoriali, ma anche le masse di lavoratori poveri e sfruttati nelle aree rurali e urbane, specialmente nelle regioni più povere.

L’incertezza economica attuale favorisce il rischio di non trovare o poter mantenere un posto di lavoro, e crea un clima di generale instabilità sociale e sfiducia nel futuro. L’esclusione dei giovani dal mondo del lavoro produce effetti di lunga durata, e rappresenta per questo uno dei più grandi pericoli per le società nella situazione corrente. A lungo andare, il mix di crisi formativa e lavorativa non solo minaccia la quantità e qualità dei posti, ma esaspera le disuguaglianze preesistenti all’interno e tra i paesi, creandone anche di nuove.

Inoltre, intorno al 70% dei flussi di migrazione internazionale riguarda giovani con meno di 30 anni. Molti di questi hanno subito la chiusura del posto di lavoro e dei confini, e non sono potuti tornare né al lavoro né nei loro paesi di origine. “A meno che non vengano prese misure urgenti, potremmo dover assumere l’eredità del virus per i decenni a venire. Se i talenti e l’energia dei giovani vengono messi da parte a causa della mancanza di opportunità di lavoro e formazione, ciò influenzerà il futuro di tutti, e sarà molto più difficile ricostruire un’economia migliore nel post Covid-19”, avverte il direttore generale dell’Ilo Guy Ryder.

L’Ilo evidenzia la necessità di adottare misure tempestive e mirate per sostenere i lavoratori e le imprese, sulla base della strategia individuata che regge su quattro pilastri: sostenere l’economia e la domanda di lavoro; supportare il lavoro e i redditi; proteggere i lavoratori e le lavoratrici nei luoghi di lavoro, e trovare soluzioni condivise attraverso il dialogo sociale. Per questo, raccomanda l’adozione di risposte urgenti, su larga scala e finalizzate, tra cui programmi per l’occupazione/formazione ad ampio spettro nei paesi sviluppati, e programmi di lavoro nelle economie a basso e medio reddito.

L’Oil analizza anche le misure per creare un ambiente di lavoro sicuro, sottolineando che test rigorosi e il tracciamento dei contagi da Covid-19, “sono strettamente correlati a una minore interruzione del lavoro”, e “ad un impatto sociale sostanzialmente inferiore rispetto alle misure di confinamento e di isolamento”. Nei paesi in cui i test e il tracciamento dei contagi si sono rivelati efficaci, la riduzione media delle ore lavorate è inferiore al 50%, per tre ragioni principali: i test e il tracciamento del virus riducono gli impatti delle misure restrittive di confinamento; promuovono la fiducia da parte della società, e quindi incentivano il consumo e sostengono l’occupazione. Tali misure inoltre contribuiscono a ridurre al minimo le limitazioni delle attività economiche e del lavoro, e possono creare nuovo lavoro, anche se temporaneo.

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