Casa e coronavirus in Toscana - di Laura Grandi

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L’emergenza per il coronavirus ha determinato una situazione senza precedenti, costringendo in casa buona parte degli italiani. Si è plasticamente evidenziata una triste e già nota realtà per chi vive nelle periferie degradate o in alloggi non adeguati. La casa ha finito per diventare un luogo di sofferenza per quanti vivono in nuclei familiari numerosi stipati in pochi metri quadrati, così come, ad esempio, per le donne e i bambini vittime di violenze. Finito l’isolamento, stiamo facendo i conti con una realtà di crisi ordinaria, utile a ricordarci che non siamo mai usciti da una situazione di emergenza abitativa, e che questa ha assunto ancora più forza.

Le voci raccolte dal Sunia della Toscana nei mesi del lockdown sono state vere e proprie richieste d’aiuto. Quando si dice che la qualità dell’abitare può rappresentare un elemento di esclusione sociale, non si sbaglia. Una moltitudine di famiglie ha manifestato forte disagio a vivere costantemente nelle proprie abitazioni. Fra le criticità più evidenti: la dimensione non adeguata al nucleo familiare, l’illuminazione insufficiente e l’umidità, un elemento molto diffuso per chi vive in affitto, dove spesso le abitazioni non vengono risanate da decenni. Nonostante ciò, siamo davanti a un paradosso di canoni ugualmente alti, redditi bassi, e mal-abitare.

Le condizioni dell’abitazione hanno inciso sulla vita personale e accentuato i problemi della convivenza. Se è stata difficile la situazione per i nuclei familiari, figurarsi cosa è successo a chi ha vissuto in coabitazione con coinquilini forzati, magari con una stanza angusta per sé e spazi in comune. Una situazione piuttosto frequente per lavoratori a basso reddito, che visti i canoni alti non possono permettersi soluzioni in autonomia.

La crisi ha messo a nudo il problema casa soprattutto nei centri storici toscani, che “rischiano” di non essere più il cuore pulsante del nuovo modello di accumulazione basato sulla rendita immobiliare. L’eccessiva dipendenza dal settore del turismo ha messo in ginocchio le città d’arte, con mancati introiti (da capogiro) nelle casse comunali. Adesso le case ci sono, tante, tantissime, e vuote. Purtroppo la popolazione ha smesso di crescere e il lavoro non c’è. Le case di edilizia pubblica sono sempre meno nel centro e sono diventate non più case dei lavoratori, ma case per indigenti.

Come può il sindacato contribuire ad una riflessione culturale, politica, economica, dalla quale si avvii la costruzione di un nuovo modello basato non sulla ricerca del profitto, ma sull’utilità del bene prodotto? Per la casa potrebbe tradursi in: incremento dell’edilizia residenziale pubblica (più case popolari), recupero del patrimonio edilizio esistente, alloggi in affitto a canale calmierato, città con servizi adeguati e molto verde, trasporti pubblici e servizi a rete efficienti.

Questo è il momento storico per il sindacato di dimostrare che un nuovo modello economico e di società è possibile e necessario: mai come ora le persone su questi temi sono ‘in ascolto’. Bisogna mandare messaggi forti volti ad iniziare un percorso sui temi della città, del territorio, della casa, per dimostrare che con politiche alternative si può vivere meglio, che casa a basso costo e servizi efficienti possono essere una forma significativa di risarcimento sociale per i redditi medi e bassi. Chiedere l’aumento di una pensione minima o di uno stipendio è cosa pregevole, ma l’abbattimento di un canone di affitto fino a 300 euro al mese, attraverso l’assegnazione di un alloggio sociale, per una famiglia vale ancora di più, in termini sociali, di sicurezza e di prospettiva di vita per i giovani, e di un futuro sereno per chi è vecchio.

I mezzi per ridurre le disuguaglianze ci sono. I dati Istat ci dicono che i nuovi poveri rappresentano oltre il 18% della popolazione. La nostra azione deve essere rivolta a far sì che questa fascia non sia lasciata sola, o non trovi aiuto unicamente presso enti assistenziali. Il sindacato deve rivendicare il diritto civile ad una condizione materiale dignitosa per tutti.

Si sono costruite molte case: prima i prezzi sono aumentati, gli speculatori arricchiti, poi il mercato è imploso e le persone in difficoltà sono rimaste senza casa, come e più di prima. Il tema della casa ha sofferto, forse più di ogni altro, della mancanza di una politica che indirizzasse gli interventi edilizi e urbanistici verso un’efficace risposta al fabbisogno abitativo. L’emergenza abitativa si aggrava costantemente.

Il sindacato deve assumersi la responsabilità di affrontare questo problema, perché il costo casa intacca salari e pensioni più di ogni altra voce dell’economia familiare, ed è un problema delle persone a reddito medio e basso. La casa è un diritto che, quando viene a mancare, colpisce la dignità delle persone e, soprattutto per bambini e anziani, è un dramma che provoca enormi sofferenze. E’ un problema di civiltà. l

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