Votare No al referendum: una battaglia generazionale - di Giuseppe De Ruvo

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Quando i giovani si affacciano al mondo della politica, vengono travolti da un duplice ordine di accuse: da un lato li si accusa di essere degli illusi, dall’altro di essere alla ricerca di un qualche potere o di una qualche poltrona. Queste accuse si sono moltiplicate per quel migliaio di ragazzi che, a partire dal dicembre 2019, si sono iscritti a “NOstra – il comitato giovanile per il No al referendum costituzionale”.

Eppure le ragioni del No valgono soprattutto per i giovani. Si tratta, infatti, di far capire come il taglio dei parlamentari, congiuntamente ad altre operazioni di indebolimento indiretto della democrazia rappresentativa (l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ad esempio), vada ad impattare sulle possibilità democratiche della generazione che erediterà questo sistema.

Le nuove generazioni infatti sembrano essere strette in una morsa. La crisi del parlamentarismo e dei partiti di massa ha un duplice effetto, che però ha la medesima fonte. Il processo di deregulation economica iniziato negli anni ‘90 ha avuto come effetto principale quello di distruggere le strutture di intermediazione di ogni sorta. Tutto sembrava essere a portata di mano. Questo stesso processo ha investito anche la politica. Le strutture di mediazione come i partiti, i sindacati, le associazioni, sono state spazzate via da questa onda, accolta con gioia anche da una certa sinistra. “Fine della Storia”, celebrata con reverenza dalle vestali del liberismo più sfrenato.

A cosa ha portato questo processo? Ha portato a quella “gabbia di durissimo acciaio”, per dirla con Max Weber, in cui i giovani che si affacciano al mondo della politica sono incastrati. Se non è più il Parlamento a legiferare, se non sono più i partiti a farsi “parte” e rappresentare le istanze del cosiddetto “popolo”, allora sarà qualcun altro a farlo, e questo è inevitabile nel mondo a somma zero della politica.

Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito alla crescita ipertrofica di movimenti nazionalisti e populisti, nei quali il leader ricerca un rapporto immediato con il popolo, inteso nella sua totalità, senza considerare i conflitti che lo attraversano. Una società liquida che si solidifica attorno ad un autoproclamato capo.

In questa congiuntura, l’atto legislativo segue le logiche dell’autorità carismatica. Il cittadino torna suddito. Se tutto è popolo niente è popolo, e dunque nessuno è cittadino. Dall’altro lato, per dirimere le difficoltà della politica e le sue incapacità a stare al passo con la velocità del processo economico, ci si è spesso affidati al mondo tecnico-amministrativo, in barba ad ogni legittimità democratica. “La competenza ci salverà”. Vero, forse, nel lungo termine, “ma nel lungo periodo siamo tutti morti”.

Ci troviamo dunque davanti ad un problema, che la crisi del Covid-19 ha manifestato plasticamente: la decisione, momento costitutivo della politica, si trova o nelle mani di un capo che parla direttamente al “popolo” (Dpcm, conferenze stampa) oppure nei gangli del sistema tecnico-amministrativo (Task-force, Comitato tecnico-scientifico). In uno scenario del genere l’accesso alla politica per i giovani sarà necessariamente problematico, e non può prescindere dalla difesa di quel che resta del sistema parlamentare, nell’ottica di un suo rilancio. È questa la linea d’azione di “NOstra”, che vuole essere generazionale in questo senso. L’opposizione a questa scellerata riforma costituzionale, infatti, rientra in un più ampio progetto di promozione della democrazia rappresentativa e costituzionale. Difendere un’idea di democrazia, inoltre, è fondamentale per cercare di risolvere la questione sociale del Paese, che emerge oggi in tutta la sua importanza.

Il punto è rifiutare, da un lato, una visione paternalistica in virtù della quale un “capo” si prende cura dei suoi sudditi e, dall’altro, l’idea economicista di cui si nutre una certa burocrazia, in virtù della quale il benessere della popolazione può essere misurato sull’aumento del Pil.

In questa congiuntura infatti bisogna necessariamente aumentare gli spazi di democrazia, piuttosto che ridurli e, congiuntamente, agire nella direzione di un ricambio della classe dirigente, superando le metodologie di cooptazione. Perché, come ha scritto Gramsci: “chi domina non può risolvere la crisi, ma ha il potere di impedire che altri la risolva, cioè ha solo il potere di prolungare la crisi stessa”.

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