Il caso Autostrade e lo Stato in economia - di Riccardo Chiari

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La soluzione del caso Autostrade (Aspi), con una operazione governativa che rivendica l’interesse pubblico su un bene – 3.000 chilometri di rete stradale - dato in concessione ma sempre restato di proprietà statale, continua ad essere vista con sospetto. Non soltanto dall’opposizione di destra, ma anche dal “generone” che si autodefinisce liberale e non ideologico. Ma che di una ideologia - quella privatista – è trombettiere da 30 lunghi anni.

A loro ha risposto il prof universitario (di diritto privato) Giuseppe Conte: “Il governo ha affermato un principio, in passato calpestato: contestare le gravi violazioni contrattuali e la cattiva gestione di Aspi, e impedire che i privati possano continuare ad avvantaggiarsi di una concessione squilibrata a loro favore”.

Ora ci sarà da lavorare, osserva il vicesegretario dem Andrea Orlando: “Tempi, costi, condizioni e strumenti pubblici utilizzati, una volta messi nero su bianco, andranno analizzati con attenzione”. Ma aggiungendo: “Ho trovato ridicole le grida di dolore di opinionisti e politici perché ‘in Italia non verranno più gli investitori’. Gli investitori non vengono perché ci sono le mafie, la corruzione, una Pa lenta e macchinosa e altro ancora. Con gli utili delle autostrade, a fronte di un rischio di impresa praticamente nullo, gli investitori si trovano anche su Marte”.

Certo per ricostruire un ruolo per lo Stato in economia, annota Tommaso Nencioni sul manifesto, ci vuole cura e attenzione: “Significa non solo garantire servizi migliori ai cittadini, ma anche organizzare centri di controllo da cui esercitare quotidianamente il potere democratico. Lo Stato, infatti, può essere tanto strumento di innovazione sociale, tecnologica ed ecologica, come ridursi ad un ruolo ancillare rispetto a quegli stessi interessi che sarebbe bene colpire. Questo dev’essere oggetto di lotta politica e di controllo democratico”.

 

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