Referendum: oltre 250 costituzionalisti per il “No” - di Sinistra sindacale

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Continuano ad arrivare nuove adesioni al documento di oltre 250 costituzionalisti che motivano “tecnicamente” il loro No nel referendum del 20 e 21 settembre. Promosso dai professori Alessandro Morelli, Fiammetta Salmoni, Michele Della Morte, Marina Calamo Specchia e Vincenzo Casamassima, il documento dettaglia in cinque punti le ragioni contrarie alla riforma, “illustrando i rischi per i principi fondamentali della Costituzione che la revisione comporta”. Una revisione che, secondo i costituzionalisti, “sembra essere espressione di un intento ‘punitivo’ nei confronti dei parlamentari – visti come esponenti di una ‘casta’ parassitaria da combattere con ogni mezzo”, ed “è il segno di una diffusa confusione del problema della qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso dell’istituzione rappresentativa”.

I promotori - docenti, studiose e studiosi di diritto costituzionale – precisano in premessa che il documento scaturisce da un’iniziativa autonoma e indipendente dai Comitati per il No.

La legge costituzionale sottoposta a referendum “introducendo una riduzione drastica del numero dei parlamentari – si legge nel documento – … avrebbe un impatto notevole sulla forma di Stato e sulla forma di governo del nostro ordinamento”. “Tanti motivi inducono a un giudizio negativo sulla riforma”. Innanzitutto, “svilisce il ruolo del Parlamento e ne riduce la rappresentatività, senza offrire vantaggi apprezzabili né sul piano dell’efficienza delle istituzioni democratiche né su quello del risparmio della spesa pubblica”. Quest’ultimo è, però, “un argomento inaccettabile … perché gli strumenti democratici basilari (come appunto l’istituzione parlamentare) non possono essere sacrificati o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio”.

“La riforma – continua il documento - presuppone che la rappresentanza nazionale possa essere assorbita nella rappresentanza di altri organi elettivi (Parlamento europeo, Consigli regionali, Consigli comunali, ecc.), contro ogni evidenza storica e contro la giurisprudenza della Corte costituzionale”, la quale “ha chiarito che ‘solo il Parlamento è sede della rappresentanza politica nazionale, la quale imprime alle sue funzioni una caratterizzazione tipica ed infungibile’”.

“La riforma – si legge ancora - riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori. Per quanto riguarda la nuova composizione del Senato, alcune Regioni finirebbero con l’essere sottorappresentate rispetto ad altre”.

Ancora, la riforma “non eliminerebbe ma, al contrario, aggraverebbe i problemi del bicameralismo perfetto (anche se è spesso presentata dai suoi sostenitori come un intervento volto a raggiungere gli stessi obiettivi di precedenti progetti di riforma, diretti a rendere più efficiente l’istituzione parlamentare)”. “Al contrario, se si considerano i problemi di rappresentanza di alcuni territori regionali che la riforma comporterebbe, risulta che paradossalmente la legge in questione finirebbe con l’aggravare, anziché ridurre, i problemi del bicameralismo perfetto”.

Come già ricordato, la legge, secondo i firmatari, appare ispirata da una logica punitiva nei confronti dei parlamentari. “Non è dato riscontrare, tuttavia, un rapporto inversamente proporzionale tra il numero dei parlamentari e il livello qualitativo degli stessi. Una simile riduzione dei componenti delle Camere penalizzerebbe soltanto la rappresentanza delle minoranze e il pluralismo politico, e potrebbe paradossalmente produrre un potenziamento della capacità di controllo dei parlamentari da parte dei leader dei partiti di riferimento”, facilitato dal loro numero ridotto.

Il documento sottolinea che “non può trascurarsi, inoltre, lo squilibrio che si verrebbe a determinare qualora, entrata in vigore la modifica costituzionale, non si avesse anche una modifica della disciplina elettorale, con essa coerente, tale da assicurare – nei limiti del possibile – la rappresentatività delle Camere e, allo stesso tempo, agevolare la formazione di una maggioranza (sia pur relativamente) stabile di governo”.

Infine, per i costituzionalisti, “una cattiva riforma non è meglio di nessuna riforma. Semmai è vero il contrario. Respingendo questa riforma perché monca e destabilizzante, ci sarebbe spazio per proposte equilibrate che mantengano intatti i principi fondanti del nostro ordinamento costituzionale; al contrario sarebbe più difficile mettere in discussione una riforma appena avallata dal corpo elettorale. Occorrono, in definitiva, interventi idonei ad apportare miglioramenti al sistema nel rispetto della democraticità e della rappresentatività delle istituzioni”.

“Per queste ragioni i sottoscritti voteranno convintamente ‘No’!”.

Tra le adesioni, negli atenei da Nord a Sud, si segnalano il presidente emerito della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro, e i professori emeriti Giuseppe Ugo Rescigno, Gianni Ferrara, Paolo Caretti, Pasquale Costanzo, Antonio D’Atena, Alfonso Di Giovine, Silvio Gambino, Aldo Loiodice, Antonio Ruggeri, Michele Scudiero, Luigi Ventura, Massimo Villone.

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