L’inflazione non è più un tabù, le politiche economiche lo restano - di Riccardo Chiari

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Di fronte ai drammi della pandemia, dello stato dell’economia reale, e soprattutto di un aumento esponenziale di disoccupati e nuovi poveri, con decine di milioni di posti di lavoro spazzati via, la banca centrale Usa lascerà i tassi bassi anche se l’inflazione supera il 2%. Il costo del denaro può quindi restare vicino a zero anche con una bassa disoccupazione e un’inflazione sopra il 2%. Il presidente della Fed, Jerome Powell, ha spiegato che la nuova strategia monetaria “riflette l’idea che un mercato del lavoro robusto possa essere ottenuto anche senza causare uno sgradito aumento dell’inflazione”.

Una rivoluzione? Sulle colonne del ‘manifesto’, Luigi Pandolfi invita alla cautela: “Si rompe un tabù. Ma Powell sembra non tener conto dell’inadeguatezza delle politiche economiche fin qui seguite, sia in America che in Europa, nell’ultimo decennio almeno”. A seguire, lo studioso fotografa la situazione: “Liquidità a iosa, politiche fiscali anemiche, redistribuzione verso l’alto della ricchezza. Il coronavirus ha impattato su un sistema già malato, incapace di espandere benessere, sicurezza sociale e diritti da troppo tempo. Anche la politica monetaria ‘espansiva’ ha favorito la ripresa del gioco d’azzardo finanziario. Tanti soldi, che non hanno scalfito minimamente la condizione di indigenza o precarietà lavorativa di milioni di persone”.

Conclusioni: “Purtroppo, il problema non sono solo i tassi d’interesse, ma l’assenza di una politica statale capace di assecondare crescita economica e giustizia sociale. Non è scritto da nessuna parte che se vogliamo far crescere la ricchezza, la stessa dovrà essere distribuita in maniera vergognosamente diseguale. Semmai è vero proprio il contrario”. Un messaggio valido anche per l’Unione europea. Con l’aggravante che la Ue non è uno Stato, ma 27 nazioni (19 nell’area euro) ancora in competizione fra loro.

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