L’Europa brucia a Moria - di Leopoldo Tartaglia

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L’incendio divampato nella notte del 9 settembre ha distrutto il campo profughi di Moria, nell’isola greca di Lesbo, creando enormi difficoltà a chi già viveva un inferno: migliaia di donne, uomini, bambini sono fuggiti, in attesa di riparo, di protezione e di accedere ai servizi di base. Insieme al campo va letteralmente in fumo la miope e disumana politica migratoria dell’Unione europea e dei suoi stati membri, basata principalmente su politiche di contenimento e deterrenza.

I tragici e scioccanti sviluppi della situazione non sono purtroppo eventi inaspettati. Lesbo e gli altri hotspot sulle isole dell’Egeo avevano raggiunto il punto di rottura molto tempo fa. Il campo di Moria ospitava circa 12-13.000 rifugiati, malgrado ufficialmente possa ospitarne non più di 2.800. Questi campi gravemente sovraffollati sono caratterizzati da condizioni di vita stentate e da una grave mancanza di servizi igienico-sanitari adeguati, ancor più grave alla luce della pandemia da Covid-19. La situazione negli altri hotspot greci è altrettanto insostenibile, e numerosi avvertimenti sono rimasti inascoltati per oltre quattro anni.

Né è servito ad affrontare la situazione di quotidiana violazione dei diritti umani l’azione dei vertici europei, intervenuti, a partire dalla presidente von der Leyen, al confine tra Grecia e Turchia nei primi giorni di marzo, quando Erdogan, strumentalizzando i loro sacrosanti diritti, spingeva i profughi “custoditi” nel suo paese – a suon di miliardi di euro europei – ad ammassarsi alla frontiera greca. I 700 milioni di euro promessi dall’Unione alla Grecia avevano il solo scopo di rafforzare il controllo alle frontiere, non quello di consentire minime condizioni di vita dignitosa ai profughi confinati nelle isole dell’Egeo.

L’emergenza coronavirus è diventata un nuovo alibi per distogliere completamente l’attenzione dell’opinione pubblica e dei governi – incluso quello italiano - dalla tragedia umanitaria dei profughi nella rotta balcanica come nel Mediterraneo, dove continuano annegamenti e naufragi senza alcuna iniziativa istituzionale di soccorso, e con la continua criminalizzazione delle attività delle Ong.

Ong che ancora una volta sono le uniche in campo anche a Lesbo, prestando la prima – e unica – assistenza ai profughi rimasti privi di ogni più piccola cosa, distrutta dall’incendio, e facendo appello ai governi e alle istituzioni europee per un intervento definitivo sulle disumane condizioni di accoglienza. Infatti settanta organizzazioni della società civile di tutta Europa (tra cui Asgi, Caritas Europa, Cospe, Médecins du Monde–France, Oxfam) hanno lanciato un appello urgente perché gli sfollati siano accompagnati fuori dalla Grecia.

Le richieste sono concrete. In particolare si domanda un alloggio in strutture di piccole dimensioni per gli sfollati dell’incendio di Moria; la garanzia del libero accesso delle associazioni umanitarie per il soccorso dei migranti; il ricollocamento immediato nei Paesi europei di minori non accompagnati, famiglie e persone vulnerabili; e un cambiamento del modello di accoglienza a Lesbo per i nuovi arrivi dalla Turchia in strutture rispettose della dignità umana.

Le organizzazioni firmatarie ribadiscono ancora una volta il loro appello affinché i governi degli Stati membri dell’Ue, con il sostegno della Commissione, ricollochino urgentemente tutti gli sfollati fuori dalla Grecia. Il trasferimento di 406 minori non accompagnati da Lesbo alla Grecia continentale, l’impegno dei governi norvegese e olandese di ricollocare rispettivamente 50 e 100 persone, nonché la volontà dei governi francese e tedesco di trasferire 400 minori, sono ancora del tutto insufficienti ma dimostrano quanto velocemente i trasferimenti possono essere coordinati, quando esiste la volontà politica.

Gli ultimi eventi dimostrano ancora una volta il fallimento dell’approccio europeo alla gestione della migrazione. Le organizzazioni firmatarie chiedono al Parlamento europeo di indagare sul ruolo che l’Ue e gli Stati membri hanno avuto nella fallimentare gestione di Moria. Inoltre sollecitano la Commissione, la presidenza tedesca del Consiglio Ue e gli Stati membri a considerare le orribili immagini dell’incendio di Moria come una prova inequivocabile del tragico costo umano di un sistema di asilo e migrazione basato su politiche securitarie, e raccomandano vivamente di tenere conto di questi eventi in vista del nuovo patto su migrazione e asilo, per garantire che queste stesse politiche non siano alla base delle nuove proposte. È fondamentale che il nuovo Patto costituisca “un nuovo inizio piuttosto che una replica degli errori del passato”.

È necessario che si rafforzino le mobilitazioni per chiedere all’Unione e ai governi europei un radicale cambiamento di rotta sulle politiche migratorie. Servono subito canali umanitari strutturali e sufficienti per accogliere le migliaia di migranti ai confini orientali e quelli in Libia – nel bel mezzo di una guerra – e la redistribuzione dei profughi ammassati nelle isole greche.

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