Il rapporto annuale Inps - di Michele Lo Monaco

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Alcune considerazioni sindacali sulla pubblicazione del documento.  

Prima di tutto è chiaro come questo rapporto cada in una situazione assolutamente anomala. Infatti tutta la prima parte è dedicata agli impegni economici straordinari legati al Covid 19. Principalmente la cassa integrazione e i bonus che hanno interessato oltre dieci milioni di persone. Le ore autorizzate di cassa sono state circa 3.028.000, contro una media dagli anni ‘80 al 2008 di 500mila annue, e contro una media dal 2009 al 2014 di un milione.

Numeri spaventosi che danno il senso di quanto sia necessario il nostro lavoro sindacale per assicurare coperture e garanzie a tutti i lavoratori colpiti dalle chiusure da Covid. Primo obiettivo, oltre naturalmente la massima tutela dei livelli occupazionali, la riforma degli ammortizzatori sociali che generalizzi, appunto, la platea dei fruitori.

Un dato però va citato a disdoro della Confindustria e del suo capo Bonomi, così solerte a bacchettare gli altri, ma mai propenso a forme di autocritica. Ebbene nella relazione del rapporto Inps si rimarca come, a fronte di 552mila aziende che hanno chiesto almeno un’ora di cassa integrazione, quasi 189mila (34%) non hanno subito riduzione di fatturato (addirittura per alcune è aumentato): una vera è propria questione morale per chi si permette di parlare di “sussidistan”.

Mi aggancio a quanto sopra ed alle polemiche seguite ad alcune assegnazioni improprie del Reddito di cittadinanza per riportare quanto dice l’Inps: l’erogazione di Reddito e Pensione di cittadinanza ha contribuito a diminuire le differenze tra il 20% più ricco ed il 20% più povero del Paese. Già questo basta a rendere sacrosanto elargire questa misura, magari affinandola e rendendola più efficace e oggettiva, per alleviare la sofferenza di milioni di famiglie. Va certamente modificata la norma discriminatoria per i cittadini non italiani della presenza da almeno 10 anni sul territorio nazionale.

Altro punto assai dolente del rapporto il dato relativo all’ammontare delle pensioni percepite. Innanzitutto una constatazione di genere: a fronte di un ammontare medio mensile di 1.563 euro, per gli uomini questa media e di 1.826 euro, mentre per le donne è di 1.321 euro. Il 34% dei pensionati (5.100.000) ha un assegno di meno di 1.000 euro, di questi 1.600.000 prende meno di 500 euro. Solo l’8% percepisce pensioni oltre i 3.000 euro. Intervenire, come da anni stiamo chiedendo, sia sul versante della quattordicesima, sia sull’equiparazione fiscale al lavoro dipendente, è un obbligo per arginare il dilagare della povertà.

Sempre in relazione alle nostre richieste al governo in tema previdenziale, emerge con forza anche dal rapporto come sia opportuno e fonte di assoluta chiarezza, specialmente nel confronto con le altre economie europee, separare la previdenza dall’assistenza. Dai numeri 2019 si evince come, a fronte di una spesa complessiva pari al 16,1% del Pil, l’assistenza pesi per 3,4%. Scorporando questo dato, la spesa previdenziale sarebbe perfettamente in linea con la media europea.

Altri temi oggetto delle nostre richieste vengono citati nel rapporto. La flessibilità in uscita: si dice che l’età media di uscita con l’anzianità nel 1992 era di 55,2 anni per gli uomini e di 52,4 per le donne, e nel 2019 si è passati a 62,7 per uomini e 62,3 per donne (quasi allineati). Si può e si deve quindi ragionare di meccanismi di uscita flessibili che, se si va verso il superamento di quota 100, devono essere egualmente garantisti per lavoratrici e lavoratori. Si avanzano finalmente ragionamenti relativi alla pensione di garanzia dei giovani, e alla introduzione di meccanismi di copertura dei buchi contributivi. Si accenna anche a condizioni più favorevoli di pensionamento per lavori gravosi e usuranti.

Vengono forniti dati molto interessanti sulla maternità e sulle penalizzazioni salariali, e quindi anche pensionistiche, delle donne con figli. Anzitutto le donne con figli accedono al part time tre volte più delle donne senza figli, e il gap salariale medio in presenza o assenza di figli è di 5.700 euro annui. Invece c’è un dato positivo sul versante dei congedi parentali: il costante aumento del ricorso a questo strumento da parte dei padri.

In conclusione, a fronte dei molti numeri (forse troppi), possiamo constatare come la ragionevolezza di gran parte delle nostre richieste e sollecitazioni di questi anni venga di fatto confermata anche da questo rapporto. Questo non fa che rafforzarci nella convinzione che, anche attraverso ulteriori mobilitazioni (commisurate alle restrizioni Covid, ma sappiamo essere creativi) dobbiamo portare a casa risultati concreti e tangibili nella trattativa aperta con il governo Conte.

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