I diritti dei rider, e la subordinazione a un padrone virtuale - di Gabriella Del Rosso

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Con sentenza 3570 del 24/11/2020 il Tribunale di Palermo - sezione lavoro - ha dichiarato lavoratore subordinato un rider e perciò nullo il licenziamento attuato con la cessazione degli incarichi di consegna, con il conseguente diritto alla reintegra, al risarcimento, e alle differenze retributive tra quanto percepito e lo spettante come ciclofattorino addetto alla consegna di merci a domicilio, con inquadramento nel VI livello Ccnl Terziario Distribuzione e Servizi.

Una decisione importante perché si pone nel solco della sentenza della Cassazione 1663/2020 (che aveva dichiarato la subordinazione dei riders), e ne trae le dovute conseguenze su classificazione e rescissione del rapporto di lavoro. Con un’ampia motivazione, che prende in esame l’orientamento della Cassazione, quello della Corte di giustizia europea (sentenza 20/12/2017 C-34/15 in tema di drivers) e delle Alte Corti di Stati europei (in particolare Spagna e Francia), la giudice palermitana ha rilevato come il concetto di subordinazione di cui all’art.2094 Codice civile deve essere adattato alla gig economy, per l’espansione delle piattaforme digitali che, in base ad algoritmi, regolano la quantità e la qualità del lavoro.

La sentenza muove dall’analisi e identificazione dell’obiettivo di tali piattaforme, e in particolare se esso sia un’attività di mera intermediazione, “ovvero se la loro sia un’attività di impresa di trasporto di persone [come Uber, nds] o di distribuzione di cibo e bevande a domicilio”. Per concludere, in sintonia con la Corte Europea, che le piattaforme svolgono attività di impresa di trasporto o di distribuzione, che determina la classificazione anche del rapporto di lavoro di coloro che lavorano per conto della piattaforma come rapporto di lavoro dipendente, poiché inseriti in una organizzazione imprenditoriale di mezzi materiali e immateriali, di proprietà e nella disponibilità della piattaforma stessa, e così del suo proprietario o utilizzatore.

Di contrario avviso erano state le pronunce dei Tribunali di Torino e di Milano, per i quali la possibilità dei rider di decidere se e quando lavorare avrebbe compromesso ab origine l’esercizio del potere direttivo e disciplinare, e quindi il vincolo della subordinazione.

Tali Tribunali, si legge nella sentenza di Palermo, hanno omesso di valutare la fase esecutiva della prestazione. Anche la sentenza della Corte di Appello di Torino 26/2019, pur dichiarando l’applicabilità ai rider del primo comma dell’art.2 D.lgs 81/2015 (“dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”), ha ribadito che il rapporto, tecnicamente, non potesse considerarsi subordinato. Dello stesso avviso i Tribunali di Firenze e di Bologna, sul diritto dei rider ad essere muniti di strumenti di tutela della salute.

Come si è detto, la Cassazione è stata di diverso avviso, dichiarando che quello dei rider è ad ogni effetto un rapporto di lavoro subordinato, per le concrete modalità con cui si svolge la prestazione. La stessa nota 17/9/2020 dell’Ufficio legislativo del ministero del Lavoro, dopo la firma tra Assodelivery e Ugl di un contratto nazionale che regolamentava il lavoro dei rider partendo dal presupposto della loro autonomia, ha censurato tale contratto, essendo la qualificazione giuridica del rapporto demandata al giudice e non alla contrattazione, non potendosi escludere che tali lavoratori svolgessero attività di natura subordinata.

La sentenza di Palermo si è pronunciata per prima e con estrema chiarezza sulla natura del rapporto, raccogliendo indirizzi univoci delle Corti di Legittimità e superando l’orientamento di inquadrare tale lavoro nell’art.2, comma 1, del D.lgs 81/2015.

Osserva la sentenza di Palermo che la piattaforma esercita non solo uno stretto controllo sulla performance del lavoratore (che solo apparentemente sceglie se e quando lavorare), ma anche un potere disciplinare attribuendo il punteggio in modo premiale. E’ poi incontestato che il rider debba eseguire precise e predeterminate operazioni tramite lo smartphone, che non abbia alcun potere organizzativo, e che metta a disposizione le sue energie lavorative anche per periodi non indifferenti di tempo (aspettando l’incarico).

“Né – continua la sentenza - può obiettarsi che dette modalità sono connaturate alla piattaforma, e che pertanto non modificano la natura autonoma del rapporto lavorativo pattuita in contratto, perché la piattaforma non è un terzo, dovendosi con essa identificare il datore di lavoro … che programma gli algoritmi che regolano l’organizzazione del lavoro … e di fatto sovrastano il lavoratore con il potere subdolo di totale controllo sul medesimo, ai fini dell’esecuzione dell’attività lavorativa”.

Occorre dunque adattare il concetto di subordinazione di cui all’art.2094 Codice Civile alle nuove realtà che spesso non sono ricomprese, secondo interpretazioni tradizionali, nel concetto di subordinazione.

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