Revisionismo e individualismo: due facce della stessa medaglia. Il caso paradigmatico delle foibe - di Piergiorgio Desantis

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“La solidarietà dei tempi ha tanta forza che le relazioni di intelligibilità tra essi sono veramente orientate in due sensi. L’incomprensione del presente nasce fatalmente dall’ignoranza del passato. Forse non è però meno vano tentar di comprendere il passato, ove nulla si sappia del presente”. Così Marc Bloch, in uno dei passaggi de l’“Apologia della storia”, provava a interrogarsi sull’utilità e sull’utilizzo di quest’ultima, dopo la terribile disfatta francese del 1940 con i nazisti che marciavano al passo dell’oca per gli Champs-Elysées.

Riprendendo la traccia di Bloch viene da dire che, oggi come allora, c’è chi si è impegnato e si impegna, giorno dopo giorno, a far saltare il patto di solidarietà tra le epoche, ovverosia lo spazio dove riconoscersi, capire da dove veniamo e riflettere su alcune oscure fasi storiche per evitare eventuali tragiche ripetizioni. Alcuni, viceversa, vorrebbero che esistesse solo un grande e melmoso stagno della pacificazione e dell’indifferenza storica.

Si manifesta, oggi più di ieri, l’individualismo dominante dei tempi in cui viviamo. Molti si disinteressano con compiaciuta spensieratezza sia della genesi della nostra Repubblica che dei valori che ne sono fondamenta ed emblema. L’“eterno presente” (Eric Hobsbawn, Il Secolo breve, 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi, Rizzoli 1995) in cui alcuni vivono, infatti, fa disconoscere la scelta di rottura e di liberazione dal nazifascismo. È l’avanzata impetuosa del revisionismo storico, operazione politico/ideologica targata anni ’80, che è penetrata profondamente nel senso comune, al punto che le maggiori forze politiche presenti nei parlamenti europei convergono equiparando, senza particolari fronzoli, il comunismo e il fascismo.

Si ricordi, a tal proposito, la risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 che, riscrivendo importanti passaggi della storia, ha accomunato chi aveva compiuto i crimini ad Auschwitz a chi aveva liberato l’umanità da quell’opzione di morte.

Si inseriscono in questo contesto le ultime polemiche sorte intorno alla “giornata del ricordo”, istituita in Italia con operazione bipartisan a partire dal 2004. In tale data si commemorano le uccisioni e gli infoibamenti operati dall’esercito jugoslavo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Questa è solo una delle battaglie di memoria storica vinta da ex esponenti del Msi, con l’appoggio di alcune delle forze di centrosinistra.

È un’operazione palesemente strumentale per celebrare una data parallela e alternativa al 25 Aprile che la annulli, rendendola residuale. È strumentale perché, volutamente, si ricorda solo uno degli accadimenti, isolandolo da tutto ciò che è successo prima. Al contrario, la storia delle foibe è veramente lunga e principia dalla fine della Prima guerra mondiale con l’occupazione italiana, passando per l’invasione delle truppe nazifasciste in Jugoslavia. Lo storico Davide Conti, a tal proposito, ricorda: “Italijanski palikuci (italiani brucia case) gridavano i civili quando nel 1941 le truppe del regio esercito e i ‘battaglioni M’ invasero la Jugoslavia per concludere l’occupazione dei Balcani avviata con le aggressioni di Albania e Grecia nel 1939-40” (Davide Conti, Gli orrori del fascismo di frontiera all’origine della tragedia delle foibe, il Manifesto 11 febbraio 2021, https://ilmanifesto.it/gli-orrori-del-fascismo-di-frontiera-allorigine-della-tragedia-delle-foibe/).

Sarebbe inutile, stupido e dannoso fare il computo numerico delle vittime da una parte e dall’altra e lo si lascia volentieri agli autori di un’altra operazione di pura propaganda reazionaria quale è stata quella de “Il libro nero del comunismo”.

Adriano Prosperi, nel suo ultimo lavoro (Un tempo senza storia. La distruzione del passato, Einaudi 2021), è arrivato a definire l’epoca in cui viviamo un “tempo senza storia”, dove il passato subisce una vera e propria “distruzione” come da premonizione di Hobsbawm. Proprio ricordando l’enorme fallacia della “fine della storia” di Fukuyama, è ancora il tempo e l’ora di riappropriarsi della scelta repubblicana e antifascista del movimento operaio e democratico. Quest’ultimo, attraverso i grandi partiti e sindacati di massa, è stato protagonista e nostro padre costituente. Anche oggi, proprio nel conformismo piatto di maggioranze uniche parlamentari, è necessario esercitare, ancora una volta, la capacità critica e la necessità della battaglia delle idee e della lotta incessante per la difesa della memoria storica.

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