A volte ritornano - di Giovanna Lo Zopone

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Qual è il disegno dietro alla nomina di Renato Brunetta a ministro della Pubblica amministrazione?  

Ma perché? Perché Brunetta alla guida della Pubblica amministrazione? Domanda non solo lecita ma necessaria nel momento più difficile per il Paese, che potrebbe però essere il tempo del futuro, della rinascita, dell’innovazione, del pensare ed essere differenza e novità, quello che abbiamo chiesto con lo sciopero del 9 dicembre. Invece si fa avanti l’ombra di un passato fatto di disprezzo, di conflitto, di pregiudizio, di macerie. Un ministro che si fece vanto di distruggere ciò che avrebbe dovuto migliorare, che gongolava a insultare chi avrebbe dovuto aiutare e favorire. Una delle peggiori e inutili leggi che hanno solo depresso il servizio pubblico porta proprio il nome di questa strana idea di futuro che oggi dovrebbe essere espressa. Lavoratrici e lavoratori che servono ogni giorno, e che hanno condotto il Paese durante la pandemia, meritavano ben altro che un passato di insulti.

Però chi serve ogni giorno non ha tempo neanche di arrabbiarsi per un ministro riesumato. Deve attaccare un respiratore, accudire un anziano, far crescere un bambino, controllare che i dispositivi di protezione individuale che arrivano in Italia siano quelli certificati, controllare il mercato illecito dei vaccini, erogare gli aiuti economici a chi è rimasto senza lavoro, pensare a chi ha bisogno.

Per certo nei dodici anni che sono trascorsi, dopo le “cure” imposte dalle leggi della coppia Tremonti-Brunetta, la Pubblica amministrazione è diventata molto più debole, talvolta vicina alla chiusura di uffici. Sono stati imposti tagli del turn-over e blocchi della spesa per le assunzioni, tuttora vigenti; è stata bloccata la contrattazione, in particolare è stata limitata la contrattazione decentrata; è stata sottratta l’organizzazione del lavoro all’autonomia delle parti aumentando le misure orientate alla logica punitiva di dipendenti e dirigenti. La legge che porta il suo nome ha stabilito, in modo aprioristico, che in un ente il 25% dei lavoratori sono “fannulloni”, il 50% sono mediamente ‘produttivi’, e il restante 25% sono le eccellenze. Tutto da decidere a tavolino. Una certificazione del merito quantomeno bizzarra, diciamo pure punitiva a prescindere.

La formazione è stata ridotta a un benefit, cessando di essere un diritto del lavoratore all’aggiornamento costante; sono state favorite le esternalizzazioni e il precariato, per privatizzare spazi di mercato di servizi essenziali e fare dumping con le condizioni di lavoro del settore pubblico; sono stati sminuiti la sicurezza sul lavoro e ridimensionati i diritti come il trattamento della malattia, imponendo tagli ingenti al salario per i lavoratori malati. Infine dieci anni senza contratto di lavoro, azzerati gli arretrati.

Ma allora perché? Perché ministro chi, nella storia della Repubblica, di più ha generato conflitto sociale, delegittimando la funzione sociale del valore pubblico? È uno schiaffo. E anche peggio. Non è veramente comprensibile questa scelta se l’obiettivo del Paese è una Pubblica amministrazione più efficiente, efficace e vicina ai cittadini, innovata e digitale. Non è credibile pensare che, anziché investire sulla partecipazione dei lavoratori, anche chiedendo un apporto maggiore in una fase difficile, si scelga l’emblema della lesione della dignità del mondo pubblico, mortificato da etichette ingenerose, delegittimato nella sua funzione di garanzia dei diritti costituzionali.

Ma è veramente questo l’obbiettivo del governo? Veramente si sta pensando a una Pubblica amministrazione più efficiente? Veramente si vogliono servizi pubblici che funzionano? Veramente si vuole che il controllo pubblico funzioni? O si sta pensando di nuovo a scatenare la rabbia dell’opinione pubblica contro i lavoratori con l’intento di favorire la privatizzazione dei servizi pubblici così come è stato fatto nei governi più neoliberisti che hanno governato il Paese? O si sta pensando che un’amministrazione pubblica che funzioni, e che fa rispettare le regole, possa rallentare la corsa all’accaparramento dei soldi che arrivano dall’Europa? È sempre la stessa storia. taglio della burocrazia vuol dire per tanti, taglio dei controlli.

Ma noi non ci rassegneremo al ritorno al 2009, abbiamo cominciato a riguadagnarci i diritti che avevamo perso e andremo avanti, per un’amministrazione pubblica che funzioni bene e sia efficace, perché questo è l’interesse dei cittadini e dei lavoratori. La Pubblica amministrazione è un bene comune, questo Paese e il suo servizio pubblico meritano di più.

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