L’affettività dei detenuti. Applicare la Costituzione, una scelta di civiltà - di Denise Amerini

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Un webinar della Cgil a sostegno del disegno di legge dei Garanti per la tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute. 

In tempi di giustizialismo imperante, parlare di affettività in carcere rischia di apparire quantomeno velleitario: a nessuno sfugge lo stato in cui versano le carceri, anche dal punto di vista organizzativo e strutturale, i problemi legati al sovraffollamento, alle carenze di personale. E’ argomento che si presta a facili ironie da parte dei paladini della ‘giustizia giusta’, della certezza della pena. Ma è tema che, per umanità e civiltà, non può essere banalizzato e sottovalutato.

La dimensione affettiva è parte integrante del rispetto della dignità della persona, i legami affettivi e familiari sono un parametro su cui modellare il processo di individualizzazione del trattamento penale, a prescindere da ogni valutazione premiale. Invece, ancora oggi, l’unica possibilità per le persone ristrette di vivere l’affettività è data dalla concessione del permesso premio che è uno strumento residuale, che può essere concesso solo se sussistono determinati requisiti soggettivi e oggettivi. Ma, come sostiene Davide Galliani, il diritto alla sessualità è da riconoscersi in sé e per sé, come posizione soggettiva costituzionalmente riconosciuta, e non all’interno di una logica premiale.

Il Parlamento europeo, già nel 2004, annovera fra i diritti da riconoscersi ai detenuti quello “ad una vita affettiva e sessuale, attraverso la predisposizione di misure e luoghi appositi”. La Convenzione Europea dei Diritti Umani (Cedu), oltre a vietare ogni trattamento inumano e degradante, all’articolo 8 tutela il rispetto della vita privata e familiare, di cui affettività e sessualità sono aspetti imprescindibili. La forzata privazione affettiva e sessuale nega il principio costituzionale per cui la pena deve essere umana e rieducativa, perché non lo è nella misura in cui non concede spazio alle relazioni affettive, e provoca danni all’integrità psicofisica dell’individuo.

La prigione è ancora oggi una pena fisica, pur in assenza di procurate sofferenze, ed ha marcato carattere afflittivo nella misura in cui il detenuto è tutelato nei bisogni primari (ammesso che lo sia) ma privato di stimoli emotivi. Le relazioni familiari e affettive sono fondamentali ai fini dell’effettivo reinserimento sociale. E le necessità affettive sono espressione del più ampio diritto alla salute. E’ patogeno il carcere che non garantisce spazi di vita umani, attività quotidiane, possibilità di mantenere rapporti il più possibile normali e continuativi con coloro che sono fuori. Il non aver mai normato compiutamente in merito all’affettività in carcere rappresenta la negazione di un diritto, mentre il binomio “affettività/carcere” parla di affettività e sessualità come di un diritto e un determinante di salute.

Fuori dall’Italia, i momenti di vera affettività per le persone ristrette sono considerati “giusti”: numerosi Paesi europei, e nel mondo, regolamentano la materia, prevedendo la possibilità di usufruire di appositi spazi all’interno dei quali, sottratti al controllo audiovisivo del personale di custodia, il detenuto può trascorrere diverse ore in compagnia dei propri affetti. In Italia, dal 1996 ad oggi, sono stati presentati in Parlamento numerosi disegni di legge, anche la Corte Costituzionale ha invocato un intervento legislativo.

Il 19 febbraio scorso la Cgil ha organizzato un webinar per parlare di tutto questo, presentare e sostenere il Ddl 1876 (modifiche alla legge 354 in materia di tutela delle relazioni affettive intime delle persone detenute), il cui testo è stato elaborato dalla Conferenza nazionale dei Garanti, assegnato alla commissione Giustizia del Senato a settembre dello scorso anno.

Questo si compone di quattro articoli, agisce perché l’affettività venga considerata in un’accezione compiuta, lasciando spazio ad una definizione allargata dei rapporti affettivi, oltre i confini della famiglia intesa in senso tradizionale. Amplia i permessi: non più eventi familiari di particolare gravità ma di particolare rilevanza. Prevede che le visite, una volta al mese, possano svolgersi in apposite unità abitative, senza controlli visivi e uditivi, abbiano una durata minima di 6 ore e massima di 24. Interviene sulla durata e sulla frequenza dei colloqui telefonici, rendendoli quotidiani e della durata di 20 minuti. E’ un atto di civiltà, che nasce dall’esigenza di dare uno sbocco normativo al riconoscimento del diritto soggettivo all’affettività e alla sessualità delle persone ristrette, per un carcere vivibile in cui la pena non abbia nulla di afflittivo oltre la perdita di libertà. In cui la Costituzione e i diritti delle persone siano rispettati.

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