Regione Lombardia: zona rossa per incapacità - di Massimo Balzarini

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Regione Lombardia, zona rossa per incapacità: questo il messaggio della conferenza stampa del 16 marzo scorso promossa da Acli, Arci, Sentinelli, forze politiche e Cgil Lombardia, per contestare alla Regione tutto quello che non funziona. In effetti, dall’inizio della pandemia l’unica cosa che ha funzionato è il lavoro delle tante persone che si sono impegnate giorno dopo giorno, a prescindere dagli orari di lavoro, dai turni massacranti, dalla paga spesso insufficiente. E soprattutto da diritti carenti che non garantiscono una tutela generalizzata.

Ha operato bene tutto il personale sanitario a qualsiasi livello, e gli addetti alle pulizie, agli appalti, trasporti, grande distribuzione, che non solo hanno gestito l’emergenza sanitaria prendendosi cura delle persone malate e fragili, ma hanno permesso al “motore lombardo” di continuare a funzionare. A differenza di quanto ha fatto il livello politico-dirigenziale, sempre pronto a scusarsi per quello che non ha funzionato, che ha cambiato assessori e direttori generali per interesse politico, ma che nella sostanza sceglie l’inefficienza.

Ormai si è dimenticato il disastro sulla campagna antinfluenzale, che ha prodotto l’effetto per cui larga parte della popolazione non si è potuta vaccinare. Poi ci sono stati l’“errore” di calcolo che ha spedito la Lombardia in zona arancione, la proposta di distribuire i vaccini in base al Pil del nuovo assessore Letizia Moratti, e, da ultimo, l’intesa con Confindustria e Confapi per la somministrazione del vaccino anti Covid nelle aziende, scavalcando le priorità per i gruppi prioritari in base a età e fragilità.

A differenza di quanto sbandierato, la regione è tra le prime aree del mondo per casi e decessi ogni 100mila abitanti, e al penultimo posto tra le regioni italiane per somministrazione delle prime dosi di vaccino.

Il ritardo nelle vaccinazioni allontana i cittadini lombardi dalla sicurezza e dal ritorno alla normalità, ma la disorganizzazione della giunta Fontana peggiora la situazione, con anziani avvisati solo poche ore prima della vaccinazione o spediti a chilometri di distanza. Siamo in ritardo nella tutela degli ultraottantenni, e non si parla di aprire ad altre fasce d’età a differenza di altre regioni.

Non è solo disorganizzazione, sono scelte politiche sbagliate. Il protocollo per la vaccinazione nelle aziende, non applicabile per mancanza di vaccini, avulso dalla discussione nazionale, è una gara all’anticipazione che non fa che creare danno e confusione.

È stata una scelta politica indebolire la sanità pubblica in Lombardia a favore della privata, impoverire la medicina di territorio a favore della rete ospedaliera: quindi la situazione attuale è frutto di scelte precise, che creano ulteriore discriminazione fra i cittadini.

È urgente, come chiediamo da tempo, aprire una discussione pubblica per una radicale riforma della legge regionale Maroni (23/2015), per un sistema di governance pubblica della sanità basata su obiettivi di salute e non sulla competizione pubblico-privato e una politica coordinata di prevenzione e di investimento nella sanità territoriale. Anche il ministero della Salute ha inviato una nota critica delle anomalie del sistema lombardo, e una richiesta urgente di adeguamento del sistema sanitario regionale.

La pandemia ha evidenziato le debolezze del nostro sistema sociosanitario, rendendoci più consapevoli dell’importanza di un servizio sanitario universalistico e pubblico, e che la spesa sanitaria debba considerarsi un investimento per il benessere di tutti e di ciascuno. Si dovrà affrontare una diversa domanda di salute, con i problemi della transizione demografica, del conseguente aumento delle patologie cronico-degenerative, e con la possibilità del manifestarsi di nuove emergenze epidemiologiche e sanitarie. I cardini della riforma necessaria sono la prevenzione come fulcro del sistema sanitario, e il governo della domanda e della rete d’offerta erogativa di prossimità in un unico punto di presidio fisico, chiaramente identificabile dal cittadino.

È necessaria anche un’autocritica da parte delle forze politiche di sinistra, che troppo stesso sono state accondiscendenti con la giunta lombarda, e forse alle stesse forze sociali. Lo scorso anno, solo per ricordare eventi recenti, Cgil Cisl e Uil Lombardia hanno organizzato, pur con tutte le difficoltà della pandemia, tre manifestazioni sotto la Regione. Eppure la presenza non è stata massiccia, e lo stesso è avvenuto ad aprile per il presidio della società civile in piazza Duomo. Anche allora si è fatto fatica a riempire la piazza, nonostante la strage che si stava verificando nelle Rsa, a Bergamo, Brescia e in altri territori lombardi. Cittadini e lavoratori sembrano assuefatti, si arrangiano e pagano “privatamente” le prestazioni sanitarie, difendono la salute con le proprie tasche.

Ma serve uno scatto di dignità a partire da ciascuno di noi, attraverso le forze politiche e sicuramente la Cgil. Avendo il coraggio di mettere in discussione scelte precedenti che si stanno rivelando controproducenti per la difesa degli interessi collettivi a partire dal diritto alla salute, sancito dalla nostra Costituzione.

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