Le mine antiuomo anche nella guerra infinita del Nagorno Karabakh - di Eugenio Oropallo

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Dopo una guerra lampo, che si è conclusa con migliaia di vittime e il ritorno dell’esercito azero nella nazione del Nagorno-Karabakh – territorio conteso ormai da anni sia dalla Armenia che l’aveva occupata che dall’Azerbaijan che l’ha rioccupata – il conflitto non può dirsi finito.

A seguito di una tregua sottoscritta da entrambe le parti, recentemente si sono incontrati a Mosca i leader dei due Paesi, per tentare di riportare alla normalità i rapporti bilaterali dopo il sanguinoso conflitto. In un clima gelido i due leader, invitati al Cremlino, hanno firmato un accordo stilato grazie all’intermediazione della Russia. In una dichiarazione congiunta i leader delle tre nazioni hanno annunciato lo sviluppo di nuovi progetti economici e infrastrutturali comuni.

Pashinyan, presidente armeno, duramente contestato in patria prima della partenza per Mosca, ha ricordato che la fine del conflitto non ha risolto il destino del Nagorno-Karabakh, abitato da migliaia di armeni, scacciati oggi dalle loro case. Non dimentichiamo però che, nella prima guerra del 1994, gli indipendentisti armeni avevano occupato quel territorio che fa parte dell’Azerbaijan, malgrado l’Onu avesse dichiarato illegittima l’occupazione da parte degli armeni di quella striscia di territorio.

Oggi la storia si ripete ma in senso contrario. Ci sarà mai pace per il Nagorno-Karabakh, o dobbiamo ritenere che davvero gli uomini abbiano smarrito ogni senso di umanità e di ragionevolezza? Un territorio dove per anni hanno convissuto assieme armeni e azeri, e che oggi continua a piangere i propri morti. Perché si continua a morire come nel precedente conflitto: mine e ordigni inesplosi sono disseminati ovunque. L’organizzazione internazionale non governativa, che a partire dal 2000 si è occupata di sminare il Karabakh sotto il controllo armeno, aveva previsto di finire proprio nel 2020 il lavoro di rimozione degli ordigni rimasti dopo la prima guerra, anche se non sono mancate le vittime tra i civili e il personale addetto alla rimozione a causa di ordigni inesplosi.

Il Nagorno Karabakh resta uno dei Paesi più minati al mondo. Il presidente azero ha fatto appello a tutti i cittadini a non entrare nelle zone liberate senza permesso. I numeri sono impressionanti: l’agenzia azera incaricata dello sminamento del territorio sostiene di aver già rimosso e distrutto quasi 900 mine, mentre il bollettino quotidiano delle truppe russe recita che sono stati trovati e neutralizzati 24.294 ordigni esplosivi.

Si spera che l’accordo sottoscritto a Mosca possa portare ad una normalizzazione dei rapporti che dovrebbero rendere una guerra impossibile, come ha dichiarato l’ambasciatore francese in Armenia: “Sarebbe incoraggiante se Azerbaijan e Armenia potessero aderire insieme alla Convenzione di Ottawa, cui aderiscono già 164 paesi, per la messa al bando delle mine”. In effetti la Convenzione di Ottawa fa divieto di utilizzare, stivare o produrre mine antiuomo. È stata sottoscritta il 18 settembre 1997 ed è entrata in funzione il primo marzo del 1999, ma Armenia e Azerbaijan non l’hanno mai firmata.

Nelle guerre che si sono combattute in questi anni, purtroppo, di mine antiuomo se ne è fatto un uso notevole. Basti pensare alla guerra dei territori della ex Jugoslavia, dove ancora sono al lavoro centinaia di militari – anche della forza di pace Onu – che stanno lavorando per rendere fruibili ampi territori oggi desertificati. Mentre gli Usa in Afghanistan hanno fatto ampio uso di mine antiuomo che continuano a fare vittime, soprattutto tra i bambini che scambiano spesso questi per giocattoli subendo orrende mutilazioni, come ha denunciato Emergency.

La guerra moderna – sulla scia della seconda guerra mondiale – ha dimostrato che essa può essere più efficace se si attacca anche la popolazione civile. È accaduto in Vietnam, dove migliaia di cittadini sono morti a causa del lancio di bombe al napalm sganciate sui villaggi all’interno del territorio vietnamita. Senza parlare dell’uso di proiettili all’uranio, che ha fatto vittime nella ex-Jugoslavia anche tra i militari inviati dall’Onu.

La nostra società non può più tollerare queste stragi, che finiscono solo per peggiorare i rapporti tra gli Stati e accrescere il rischio di una guerra senza fine. Focolai di guerra, purtroppo, sono aperti in ogni angolo del nostro pianeta, e la produzione di nuovi micidiali strumenti di morte ci fa temere che, a causa anche dei cambiamenti climatici e delle discriminazioni sociali, i conflitti tendano sempre più ad allargarsi, con il rischio di una vera e propria escalation che non sarà più possibile arrestare.

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