Brasile: “fora Bolsonaro” - di Vittorio Bonanni

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Gestione sciagurata della pandemia, incentivo alla deforestazione selvaggia, uso delinquenziale della giustizia per impedire a Lula, poi assolto e scarcerato, di partecipare alle elezioni. Insomma, le ragioni per chiedere l’impeachment o le dimissioni, e mettere fuori gioco il presidente brasiliano prima del tempo, ci sono tutte.

Nelle ultime settimane il Brasile, al grido di “fora Bolsonaro”, si è scosso per dire basta al peggior presidente dalla fine della dittatura. La popolazione di almeno 200 città è scesa in piazza. La folla, dopo un periodo di stasi, ha occupato le strade di San Paolo, Rio de Janeiro e della capitale Brasilia, chiedendo anche un maggior accesso ai vaccini, che finora sono stati inoculati solo a 19 milioni di persone su una popolazione di 210 milioni.

Una politica sciagurata che ha portato il più grande paese dell’America latina al terzo posto, dopo Usa e India, nella triste classifica dei paesi più colpiti dal Covid, con 16 milioni di contagiati e 460mila morti. I brasiliani dunque uniscono le loro proteste, nel continente, a quelle di colombiani e cileni, stanchi di avere a che fare con classi politiche reazionarie e corrotte.

Oltre ai Sem Terra, storica organizzazione contadina, hanno fatto sentire la loro voce sindacati, partiti e associazioni come il Frente Brasil Popular e il Frente Povo sem Medo. A prendere in considerazione queste denunce è stata la commissione parlamentare d’inchiesta, che esige l’approvazione del sussidio di emergenza oltre alla vaccinazione di massa contro il Covid.

Si è unito al coro anche il principale partito d’opposizione, quel Pt al cui leader Lula, condannato per riciclaggio e corruzione nel 2017, è stato impedito di partecipare alle elezioni. Una condanna che vide protagonista, in chiaro conflitto d’interesse, l’ex giudice, poi ministro della Giustizia, Sérgio Fernando Moro. Gli avvocati di Lula, Cristiano Zanin Martins e Valeska Martins, hanno affermato di aver dimostrato che “Moro non ha mai agito come un vero giudice, bensì come avversario personale e politico dell’ex presidente Lula”.

L’ex sindacalista ha accusato Bolsonaro di genocidio e torna ad essere il favorito alle prossime elezioni. Le ragioni del possibile successo le spiega la presidente del Pt, Gleisi Hoffmann: “Il popolo, senza reddito e senza impiego, si espone tutti i giorni al contagio per poter sopravvivere, senza alcuna forma di sostegno da parte del governo”. Per questa ragione il 59% della popolazione boccerebbe Bolsonaro in caso di elezioni. E Lula lo batterebbe con il 41% dei consensi contro il 23%. Ma il presidente negazionista non molla, e vuole denunciare al Supremo tribunale federale governatori e sindaci, perché le loro decisioni sarebbero incostituzionali.

Le speranze di successo sono limitate, e l’appello fatto ai militari a occupare gli Stati disobbedienti è destinato a fallire, visto che anche le forze armate cominciano ad avere le tasche piene delle farneticazioni di Bolsonaro. Che, inoltre, non risultano particolarmente gradite a Joe Biden, che a differenza di Trump è attento alla questione ambientale, senza dimenticare che gli Stati Uniti sono il primo partner commerciale del Brasile. Ma Bolsonaro continua a non prendere in considerazione questo tema lasciando al suo posto il ministro dell’Ambiente, Ricardo Salles, un uomo screditato nei cui confronti è aperta un’indagine giudiziaria per contrabbando di prodotti forestali negli Usa e in Europa.

Contro la politica “ambientale” del Brasile sta combattendo, con non poche difficoltà, Survival International, che cerca di ostacolare un progetto governativo per lo sfruttamento di vasti territori popolati da nativi abolendo una legislazione che li protegge da trafficanti di legname, imprenditori agricoli e accaparratori di terra. A conferma della sua politica reazionaria, Bolsonaro ha anche facilitato la vendita delle armi da fuoco, aumentate del 65% negli anni della sua presidenza, portando così il numero totale a circa 1,2 milioni nel Paese.

Un quadro generale catastrofico che ha costretto Bolsonaro, in un estremo tentativo di salvare il salvabile, a cambiare sei ministri. Dopo le dimissioni dei ministri degli Esteri, Ernesto Araujo, e della Difesa, generale Fernando Azevedo e Silva, suoi fedelissimi, il capo dello Stato aveva deciso di sostituire anche i ministri della Giustizia, della Casa civile, dell’Avvocatura generale e della Segreteria di governo.

Ovviamente le scelte del presidente non hanno giovato all’economia del Paese. Secondo l’Ispi “nel 2021 il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi al 14,6%, il più alto nella storia recente, mentre l’inflazione è in crescita costante e, con le attività chiuse, milioni di brasiliani sono ripiombati nella povertà”.

Per Paolo Magri, vicepresidente dell’Istituto, “Bolsonaro dunque perde pezzi proprio quando Lula, liberato dalle accuse, si riaffaccia sulla scena politica. La campagna per le presidenziali è già iniziata, con largo anticipo: i colpi di scena potrebbero non mancare”.

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