Coca Cola, bollicine a ciclo continuo - di Frida Nacinovich

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Coca Cola è il marchio per eccellenza, la bevanda analcolica più famosa nel mondo, la multinazionale più potente sulla faccia della terra. Basti pensare che lei, la Coca Cola Company, è riuscita a fare affidare alla città di Atlanta, Georgia, dove ha il suo quartier generale, le Olimpiadi del 1996, quelle del centenario che dovevano spettare di diritto ad Atene. Ma quando si è lo sponsor principale dei giochi olimpici, da cinquant’anni almeno, certe scelte diventano, per così dire, ‘obbligate’.

Del resto non c’è importante appuntamento sportivo in cui Coca Cola non sia presente. Fin troppo ingombrante talvolta, prova ne sono le scenette di questi giorni nel corso dei campionati europei di calcio, con i giocatori più famosi del continente che spesso e volentieri nelle interviste giochicchiano con la bottiglietta o la lattina, allontanandola (di solito) a favore di una bottiglia d’acqua. Si può solo tirare a indovinare perché lo facciano, per certo vale l’antico proverbio ‘Bene o male, basta che se ne parli’. Solo la pandemia poteva far soffrire - comunque poco - un impero sul quale non tramonta mai il sole.

Antonio Martino, che lavora nello stabilimento Coca Cola di Nogara, nel veronese, spiega che “alcune produzioni, non tutte, hanno avuto dei rallentamenti. Le ricadute della sospensione, a causa del lockdown, di molte attività, in particolare bar e ristoranti, si sono fatte sentire anche sulla filiera agro-alimentare. L’azienda ha utilizzato la cassa integrazione per alcuni settori, soprattutto quello commerciale. Io ad esempio non mi sono mai fermato - racconta - perché lavoro nel comparto delle lattine. E i supermercati, se ricordi, non sono mai rimasti chiusi. Anzi, sono stati presi letteralmente d’assalto”.

Sono poco meno di trecento i dipendenti dello stabilimento scaligero, Martino è arrivato lì nel 2009. “Ma in realtà lavoro per l’azienda dal 1992. Quasi trent’anni fa. Ho iniziato subito dopo aver finito il servizio di leva”. Calabrese di origine, l’allora ventitreenne Martino per qualche anno fa l’autista ‘coprendo’ la zona di Reggio Calabria. Poi, nel 2003, passa in magazzino, sempre lavorando nel macrocosmo di Coca Cola. “Infine, nel 2009, la ditta per cui lavoravo mi chiese se ero disposto a trasferirmi a Verona, e io dissi di sì. Sarei potuto rimanere in Calabria, mi avrebbero dato una cospicua buonuscita, ma ho preferito traslocare. Da allora lavoro nello stabilimento di Nogara. Per farti capire le proporzioni, in Calabria eravamo 35 dipendenti su due linee di produzione, qui le linee di produzione sono dieci, e gli addetti sono in proporzione”.

Una vita fra le bollicine, quelle cantate da un giovane Vasco Rossi in una delle sue canzoni di maggior successo. Alle ultime elezioni per la rappresentanza sindacale unitaria, Martino è stato rieletto delegato in quota Flai Cgil. Per lui è stata la seconda riconferma, ha iniziato il terzo mandato. “In fabbrica siamo poco meno di trecento, per la precisione 287 - sottolinea - agli addetti diretti vanno poi aggiunti gli stagionali, quasi tutti lavoratori in somministrazione. Ti confesso che è proprio per loro che ho accettato la nuova candidatura. Non sono esperti come noi, bisogna seguirli”.

Coca Cola, la regina delle bevande gassate, ha vinto per il quinto anno consecutivo l’ambito Top Employers Italia, il premio per le politiche messe in atto nel campo delle cosiddette risorse umane. “A differenza di altre realtà del settore agroalimentare, Coca Cola sta particolarmente attenta a rispettare i diritti e le tutele previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro e anche dal contratto integrativo aziendale - precisa Martino - non per caso sulla sicurezza dei dipendenti nei complicati mesi della pandemia ha dimostrato attenzione e sensibilità, adottando prontamente le misure precauzionali per limitare al massimo il rischio di contagio. Ci hanno fornito le mascherine quando ancora non erano obbligatorie e in giro non se ne trovavano”.

Martino è anche rappresentante dei lavoratori alla sicurezza: “In un reparto come quello in cui lavoro, con addirittura dieci forni accesi, abbiamo avuto problemi, chiamiamoli di microclima. L’azienda ci ha ascoltato, ora grazie al nuovo impianto di refrigerazione siamo passati dai 32 gradi di prima a 26”. Oggi Martino è un ex ragazzo con più di cinquanta primavere alle spalle. “In produzione ci sono sia donne che uomini, sia immigrati che autoctoni, Coca Cola sotto questo profilo è molto corretta, molto attenta. L’età della pensione si è allungata, così va a finire che lavoratori non più giovanissimi vadano avanti a fare turni, anche quelli notturni. Ti assicuro che a lungo andare diventa faticoso”.

In Coca Cola si lavora a ciclo continuo, su diciotto turni, per garantire che la produzione sia sempre freschissima e a disposizione di tutti i grossisti. Specialmente nel periodo estivo, la bevanda analcolica per antonomasia per grandi e piccini non può mai mancare.

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