Haiti: sotto l’egida Usa, il paese nel caos dopo l’assassinio del presidente Moïse - di Vittorio Bonanni

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Chi ha i capelli bianchi ricorderà i mondiali di calcio del 1974. In quell’occasione la nostra nazionale non fece una gran figura e venne eliminata al primo turno. L’unica vittoria sofferta fu contro l’équipe di uno dei paesi più poveri del mondo e sicuramente il più disastrato dell’emisfero occidentale. Stiamo parlando di Haiti, che insieme alla Repubblica Dominicana si divide l’isola di Hispaniola. Fu quella l’occasione per far conoscere a molti l’esistenza di questa nazione così sfortunata, i cui abitanti sono tutti discendenti degli schiavi africani.

Già colonia francese resasi indipendente nel 1804, Haiti è stata sempre controllata dagli Stati Uniti. In questo lungo lasso di tempo questa piccolo Stato caraibico non ha fatto altro che conoscere povertà, calamità naturali ed epidemie, con il 60% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà e che non ha ricevuto finora nessun vaccino per contrastare il Covid. Situazione che nel tempo ha spinto molti haitiani a trasformarsi in lavoratori transfrontalieri, andando così periodicamente nella Repubblica Dominicana.

Sullo sfondo di questo quadro disperante una lunga sequenza di regimi, uno più sanguinario dell’altro, a cominciare da quello dei Duvalier padre e figlio, al governo anche durante quei mondiali di calcio, quando minacciarono i calciatori nel caso di risultati negativi. L’unica parentesi positiva nella storia di Haiti è stata quella legata alla figura di Jean Bertrand Aristide, già presbitero, progressista vicino alla teologia della liberazione, amico di Cuba, la cui era durò dal 1991 al 2004, interrotta non a caso da un colpo di Stato nei primi anni ’90, e definitivamente chiusa nel 2004 da un nuovo colpo di Stato.

Anche nei giorni scorsi la violenza ha continuato a farla da padrone, nella capitale Port-au-Prince e nei suoi dintorni. L’8 luglio un commando armato, apparentemente privo di una precisa identità politica, ha assassinato il presidente Jovenal Moïse e ferito gravemente sua moglie, ricoverata poi in un ospedale di Miami e già tornata in patria con l’intenzione, almeno così sembrerebbe, di prendere il posto del marito. Tanto per cambiare il capo dello Stato era un uomo violento che non ha mai esitato a finanziare gruppi armati per zittire le proteste, divenute più forti a partire dallo scorso mese di febbraio. Lungi però dall’avere dietro l’angolo una alternativa credibile, il Paese rischia ora di sprofondare in un caos, se possibile, ancora peggiore.

Immediatamente dopo la morte di Moïse il primo ministro Claude Joseph si è autoproclamato presidente ad interim, malgrado il defunto capo dello Stato avesse già provveduto a sostituirlo come premier con Ariel Henry, che si era già messo all’opera per costituire un nuovo governo. In realtà la Costituzione prevede che sia il presidente della Corte Suprema ad assumere la carica ad interim, ma il giudice Rene Sylvestre è morto di Covid due settimane fa. In ogni caso chiunque si appresti a governate Haiti dovrà sottoporsi al consenso parlamentare, in un quadro istituzionale caotico a causa della politica sciagurata del leader scomparso. A cominciare dalle mancate elezioni del febbraio 2020 che avrebbero dovuto rinnovare il Parlamento. Senza contare la mancata convocazione del referendum costituzionale, da effettuarsi ora il prossimo 26 settembre.

Insomma Moïse, il cui mandato era scaduto lo scorso febbraio, aveva fatto di tutto per mantenere uno status quo a lui favorevole, compresa la possibilità di essere eletto di nuovo attraverso una modifica della Costituzione.

Ora si apre un nuovo scenario, all’interno del quale giocheranno ancora una volta un ruolo decisivo gli Stati Uniti. I quali avevano già sostenuto lo stesso Moïse, arrivato al potere grazie anche a brogli e violenze, di fronte ai quali Casa Bianca e Ue avevano chiuso più di un occhio. Ora gli statunitensi sono pronti a “sostenere la democrazia”, intenzione che non può non suscitare preoccupazione. Intanto il “Core Group”, composto da ambasciatori di Germania, Brasile, Canada, Spagna, Stati Uniti, Francia, Unione europea e rappresentanti delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione degli Stati americani, ha chiesto un “governo consensuale”, una sorta di esecutivo di unità nazionale. Parole vaghe che vogliono dire tutto e niente.

Per capire meglio quanto è successo bisognerebbe avere più informazioni sulla matrice dell’attentato. Ma finora si sa solo che a metterlo in atto sono stati mercenari stranieri che parlavano inglese e spagnolo, alcuni uccisi dalla polizia e altri arrestati. Si è saputo successivamente che alcuni attentatori erano colombiani, trasformando così la vicenda in un vero e proprio giallo, visto che in Colombia, almeno apparentemente, non si intravede qualcuno interessato a far fuori l’ex presidente.

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