Ecuador: dopo il “levantamento” è tregua tra il presidente Lasso e il movimento indigeno - di Francesco Martone

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“Sueltale ve, Patricio!” (lascialo andare Patricio!), questo meme è circolato su tutti i social media ecuadoriani nelle giornate del “levantamento” indigeno e dei movimenti sociali di metà giugno. Riguardava l’arresto, illegittimo ed arbitrario di Leonidas Iza, presidente della Confederazione Nazionale delle Associazioni Indigene dell’Ecuador (Conaie) avvenuto un paio di giorni dopo l’annuncio delle mobilitazioni. Iza si era già distinto nel “levantamento” del 2019, quando presidente del paese era Lenin Moreno. Eletto per la compagine dell’ex presidente della rivoluzione “ciudadana” Rafael Correa (in esilio in Belgio), nel corso della sua presidenza Moreno aveva intrapreso politiche di stampo neoliberista ed estrattivista, scatenando una durissima repressione in tutto il paese. Allora, principale oggetto del contendere era la decisione di rimuovere i sussidi al carburante che avrebbe colpito duramente soprattutto i piccoli contadini e produttori indigeni delle campagne. Da allora le richieste di dignità e giustizia sociale ed ecologica, avanzate dalla Conaie e da un ampissimo spettro di movimenti sociali urbani, sindacati, ecologisti e studenteschi, rimasero lettera morta.

A maggior ragione con l’attuale presidente, Guillermo Lasso, espressione delle oligarchie bianche della ricca regione costiera del Guayas, banchiere ultracattolico e vincitore di misura alle elezioni con un Parlamento a stragrande maggioranza all’opposizione con le forze fedeli all’ex presidente Rafael Correa, il rinato partito indigeno Pachakutik, e i socialdemocratici di Izquierda Democratica. Il Covid ha fatto il resto, deteriorando ulteriormente le condizioni di vita della gran maggioranza della popolazione, mentre le politiche ultraliberiste del governo hanno assicurato un aumento del 75% delle rendite finanziarie per le ricche oligarchie. Grosso modo la stessa percentuale di popolazione senza contratto di lavoro regolare, in un paese dove il salario base è di 425 dollari al mese. Dal 2019 al 2020 il numero di poveri è aumentato del 5% arrivando a circa il 31% della popolazione, in gran parte indigena e contadina.

Dopo un primo fiacco tentativo di mobilitazione nazionale, troppo a ridosso della fine dell’emergenza pandemica, la Conaie ed Iza decisero di tornare all’attacco con una piattaforma di dieci punti. Tra questi il blocco della rimozione dei sussidi al carburante, il rifinanziamento del debito nel settore agricolo per un anno, il blocco delle estrazioni petrolifere e minerarie negli altopiani e in territori indigeni, misure per garantire la sicurezza cittadina (il paese soffre un aumento della violenza urbana, e una forte presenza dei cartelli di narcotrafficanti artefici di sanguinosissime rivolte carcerarie), controllo dei prezzi dei prodotti agricoli, no alla precarizzazione del lavoro ed alla privatizzazione dei settori strategici, rispetto dei diritti collettivi, controllo della speculazione sui prezzi, un bilancio “degno” per salute ed educazione.

Alle mobilitazioni il presidente Lasso ha risposto decretando lo stato di emergenza nelle province più “calde”. Ne sono seguiti giorni drammatici di repressione brutale da parte delle forze di polizia e dell’esercito, protette da una legge poco prima approvata sull’uso progressivo della forza. Come nel 2019, la capitale Quito si è trasformata in un campo di battaglia. Pesante il bilancio di due settimane di mobilitazioni e blocchi stradali nel paese: cinque morti, 166 feriti, 108 detenzioni, cinque sparizioni.

Nel frattempo, il Congresso si era impegnato in uno sforzo di mediazione, respingendo tra l’altro una mozione per la destituzione di Lasso. Mediazione poi arrivata grazie ai buoni uffici del Vaticano. Oggi la situazione è fluida, mentre sono al lavoro tavoli di trattativa sui punti ancora insoluti. Importante conquista dei movimenti è la revoca delle leggi che autorizzano estrazione petrolifera e mineraria in terre indigene e ecosistemi critici. Conaie e movimenti indigeni hanno sempre accettato il dialogo. Per contro, il presidente tenta di volta in volta di sabotare il negoziato, accusando compulsivamente la Conaie di essere al soldo dei narcotrafficanti.

I prossimi mesi saranno decisivi, con il paese ancor più diviso, le oligarchie bianche che riprendono la piazza con la loro retorica razzista e coloniale, Lasso saldo al timone fino alla fine della legislatura, ma stretto tra Parlamento ostile e movimenti, che non abbassano la guardia, sempre pronti a riprendere la piazza.

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