Alcune osservazioni sull’esito del voto del 25 settembre - di Gian Marco Martignoni

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Disorientamento e amarezza sono gli stati d’animo che hanno caratterizzato recentemente la percezione dell’elettorato di sinistra, dapprima per la rocambolesca e rovinosa campagna elettorale, e poi nei commenti relativi all’esito del voto del 25 settembre.

Procedendo con ordine, a fronte di una destra che si è subito coalizzata per sfruttare il premio elettorale garantito dall’incostituzionale sistema del Rosatellum, tanto che si è aggiudicata l’83,4% dei collegi uninominali, il Pd ha scelto inspiegabilmente e con motivazioni pretestuose e infondate la rottura del “campo largo”. Un campo largo che invece avrebbe permesso di contendere l’esito elettorale ad una destra tutt’altro che irresistibile, se si pensa alla pesante sconfitta della Lega, al di là del camaleontismo di Giorgia Meloni e dei suoi infuocati comizi da gazzarra, nonché dell’immediato sostegno proveniente dagli ultra-liberisti convenuti a Cernobbio, preoccupati di “socializzare le perdite” a carico dello Stato in previsione della riduzione dei margini di profitto in tempi di annunciata recessione economica.

La scelta autoreferenziale e suicida del Pd è l’ennesima dimostrazione della separatezza tra quel ceto politico e il sentire del suo popolo, se è vero che un attimo dopo l’inizio della campagna elettorale il segretario Letta ha stretto sul piano tattico due alleanze rivelatesi decisamente disastrose. Infatti, la scelta di allearsi con un berlusconiano di successo ma “responsabile” come Luigi Di Maio non ha sortito un bel nulla per la lista del centro-sinistra, se non un certo discredito, mentre diversamente il partito personale dell’“irresponsabile” Giuseppe Conte è volato nei consensi.

Al contempo, l’apparentamento con il liberista Carlo Calenda è durato il tempo dell’annuncio. Dopodiché Letta, agitando il feticcio della “agenda Draghi” e scagliandosi ripetutamente contro il pericolo costituito dalle destre sul piano internazionale, si è preoccupato più di rassicurare il mondo delle imprese e l’atlantismo dei poteri forti, invece di concentrarsi sulle questioni sociali e del lavoro, considerati i disastri materiali generati per la condizione lavorativa dal jobs act renziano. In questo modo ha lasciato uno spazio enorme al M5s di Conte su tutte le questioni di carattere sociale – a partire dalla difesa del reddito di cittadinanza dai proclami bellicosi e punitivi delle destre, oltre al salario minimo e addirittura la riduzione dell’orario di lavoro - nel mentre Calenda gli rosicchiava altri consensi in particolare tra i ceti medi e il mondo delle professioni.

Pertanto, l’insistenza a proposito della demonizzazione dell’avversario, finalizzata ad una polarizzazione del voto tra FdI e Pd, è risultata controproducente, in assenza della declinazione di un programma alternativo e convincente a quello inadeguato, per essere eufemistici, delle destre. Ad esempio la questione dei cambiamenti climatici e della transizione ecologica per storia, cultura e primato degli interessi economici è incompatibile con gli orizzonti prettamente economicistici, affaristici ed anti-scientifici delle destre (ponte sullo Stretto, rilancio del nucleare, cementificazione selvaggia e consumo infinito del suolo, ecc.).

Perciò, il risultato complessivo del centro-sinistra è figlio di questi macroscopici e tragici errori poiché, se si leggono attentamente i dati elettorali, vengono smentiti i sondaggi pre-elettorali e le destre, fortunatamente soprattutto per il movimento sindacale, non sono maggioritarie nei consensi del paese, nonostante il servilismo del mondo dell’informazione.

Infine, sempre a proposito di disorientamento, per quanto riguarda la sinistra radicale e comunista, dal tonfo della lista Arcobaleno nel 2008 non vi sono stati segnali di rilancio di un polo alternativo al social-liberismo del Pd, se si eccettua l’esperienza positiva dell’Altra Europa per Tsipras all’europee del 2014. Infatti la repentina sommatoria alle elezioni europee del 2019 di Sinistra Italiana con Rifondazione Comunista si è rivelata un fiasco, per cui come nelle elezioni del 2018 il percorso di queste due formazioni si è nuovamente divaricato. Il superamento del quorum per la lista Sinistra Italiana-Verdi è in larga parte il prodotto di un elettorato proveniente dal Pd e da una spinta del mondo giovanile legato al movimento dei Fridays For Future. Diversamente per Unione Popolare il sostegno di molti esponenti noti a livello internazionale, a partire da quello di Jean-Luc Melenchon, non ha sortito alcun effetto di trascinamento al voto.

Per queste ragioni una riflessione sulla differenza, ad esempio, tra la realtà sociale francese, che ha permesso l’esperienza della lista Nupes grazie al ruolo trainante giocato dalla France Insoumise, e quella italiana, ove le dinamiche di movimento sono assai flebili anche per l’evanescenza sul piano militante e dunque organizzativo delle residuali formazioni politiche che si richiamano alla nuova sinistra, non può essere continuamente procrastinata o elusa.

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