Il merito, cortina fumogena per una scuola ancora più classista - di Raffaele Miglietta

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Il nuovo governo si è insediato e ha voluto manifestare le sue preoccupanti intenzioni programmatiche fin dalla ridenominazione di alcuni ministeri. Per quanto riguarda la scuola ora il ministero si chiamerà “dell’Istruzione e del Merito”. Già nel recente passato, all’epoca dei primi governi Berlusconi, il ministero dell’Istruzione aveva perso per strada l’aggettivo “Pubblica”. Giova forse ricordare che questa perdita non fu tutto merito del ministro pro-tempore Letizia Moratti, ma conseguenza di una norma voluta dal precedente governo di centro-sinistra (L. 59/1997 Bassanini), che disponeva la riforma dell’organizzazione del governo prevedendo la nuova denominazione del ministero dell’Istruzione priva della parola “Pubblica” (Dlgs n.300/99). Questo perché si intendeva comprendere nel sistema d’istruzione nazionale non solo la parte delle scuole gestite dallo Stato ma anche quelle “private”, ovvero quelle paritarie non statali. Fu infatti un’altra legge, varata sempre dal centro-sinistra (L. 62/2000), che introdusse la cosiddetta parità scolastica che ha riconosciuto a tutti gli effetti che la scuola partitaria è parte integrante dell’unico sistema d’istruzione nazionale, formato dalle scuole statali e dalle scuole paritarie (sic!).

Così, di caduta in caduta, si è arrivati all’attuale denominazione del ministero. Purtroppo quando il campo dei valori e dei principi costituzionali e democratici non viene adeguatamente presidiato dalla sinistra, poi capita, se nel frattempo l’altro schieramento politico vince le elezioni, che questi portino a fondo le infauste soluzioni che altri hanno preparato.

Il problema infatti non è il “merito” - su cui in astratto tutti potrebbero convenire - ma l’applicazione concreta assunta da questo criterio nella nostra società. Cosa è il merito? Chi lo valuta? Come si riconosce? Il rischio è che il sistema “meritocratico” non sia quello che riconosce il talento, le competenze e l’impegno, ma quello che favorisce la competizione premiando chi parte più avvantaggiato per nascita o condizione sociale, un sistema che finisce per rafforzare le diseguaglianze già esistenti.

Come diceva il pedagogista Andrea Canevaro, “Dobbiamo svelare l’inganno delle parole: la scuola del merito è la scuola che smette di investire su chi è in difficoltà”. La “meritocrazia” finisce per diventare l’esatto contrario di ciò che prescrive la Costituzione, laddove all’articolo 34 afferma che “La scuola è aperta a tutti”, e poi al comma 3 aggiunge: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Si tratta - quella prevista dalla Costituzione - di una scuola inclusiva, che mira a valorizzare tutti gli alunni, superando le differenze di classe e colmando gli svantaggi di origine sociale o familiare.

I rischi della “meritocrazia” per la società sono stati denunciati da tempo. Il primo a farlo fu il sociologo inglese - nonché militante di sinistra - Michael Young nel libro del 1958 “L’avvento della meritocrazia”, in cui immaginò in un futuro distopico una società dominata da una classe privilegiata, il cui “merito” si misurava su criteri arbitrari che affermavano che “la capacità di aumentare la produzione, direttamente o indirettamente, si chiama intelligenza”.

Anche in Italia a sinistra la critica al sistema meritocratico ha avuto autorevoli interpreti come Bruno Trentin, che in un articolo apparso su l’Unità nel 2006 non solo evidenziava come il ricorso al merito “ha sempre avuto il ruolo di sancire, dalla prima rivoluzione industriale al fordismo, il potere indivisibile del padrone o del governante; (…) valorizzando come fattori determinanti, criteri come quelli della fedeltà, della lealtà nei confronti del superiore, di obbedienza”, ma denunciava anche il fatto che la meritocrazia fosse ritornata di moda nel linguaggio della sinistra dopo il 1989.

Da allora ai nostri giorni si sono moltiplicati i tentativi nel campo progressista, riguardo la scuola ma non solo, di assumere, quale presunta condizione di modernità, i criteri della meritocrazia (basti ricordare la “Buona scuola” del governo Renzi). La conseguenza è stato l’aumento delle diseguaglianze e del disagio sociale, a cui è corrisposto (sarà un caso?) la progressiva perdita di consenso politico da parte della sinistra.

Oggi per sentire parole pregnanti (anche) su questo tema occorre rivolgersi a Papa Francesco: “La meritocrazia affascina molto perché usa una parola bella: il “merito”; ma siccome la strumentalizza e la usa in modo ideologico, la snatura e la perverte. La meritocrazia, al di là della buona fede dei tanti che la invocano, sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza. Il nuovo capitalismo tramite la meritocrazia dà una veste morale alla diseguaglianza”. Tant’è.

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