Kazakhstan: tra ribellione operaia e popolare, e manovre di clan - di Pericle Frosetti

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Il Kazakhstan è attraversato da una profonda crisi: la gente è scesa in piazza contro il carovita, chiedendo il rilascio degli arrestati, il riconoscimento dei sindacati, il ritiro della liberalizzazione del prezzo dell’energia, la nazionalizzazione delle fonti energetiche e delle miniere. I palazzi del potere sono stati assediati, le forze di sicurezza sono intervenute, le manifestazioni proibite. Migliaia gli arresti, decine, forse centinaia i morti e i feriti. I vertici della sicurezza kazakha sono stati destituiti, il governo è caduto, i provvedimenti economici ritirati.

Il nuovo presidente della Repubblica si è impegnato a combattere il carovita e ad una politica economica diversa. Alla protesta operaia si è associata e sovrapposta una rivolta popolare nella quale si sono inseriti elementi reazionari, sciovinisti e islamisti, ma anche le manovre del clan dell’ex presidente Nazarbajev che controllava ancora gli apparati di sicurezza. Gli scioperi sono ancora in corso.

Solidarietà al governo kazakho è stata espressa dalla comunità dei paesi turcofoni (Azerbaijan, Kirghizistan, Turchia, ma anche Ungheria e Ucraina), silenzio della Ue e degli Usa, nonostante sia montante la crisi Nato/Russia nell’Europa orientale… (Per bilanciare la presenza russa si è consentito agli Usa di dislocare proprie truppe e aprire una base nel Paese). Su richiesta delle autorità kazakhe, sono intervenute truppe dei paesi vicini (russe comprese).

Dal punto di vista politico il clan Nazarbajev, “leader della nazione”, è stato rovesciato, e il clan del presidente Tokayev ha consolidato il proprio controllo sull’apparato dello Stato e la sua legittimazione internazionale.

Il Kazakhstan è il più importante produttore ed esportatore di petrolio nell’ambito della Comunità di Stati Indipendenti (Csi). Il Paese possiede circa il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica. Gran parte della sua economia è stata privatizzata. Il settore privato è dominato da un piccolo gruppo di importanti compagnie con interessi diversificati, dalle attività finanziarie e di investimento ai servizi, tutte con legami stretti, spesso di parentela tra i loro proprietari. L’economia è controllata da grandi multinazionali, tra cui Enel e Arcelor Mittal.

La politica socio-economica delle autorità della Repubblica del Kazakhstan ha portato a una colossale stratificazione della popolazione in termini di reddito, a un profondo abisso tra le classi sfruttatrici e sfruttate, in cui l’1% dei capitalisti possiede circa l’80% della ricchezza del Paese e il 90% della popolazione solo il 10%. I membri del clan Nazarbayev sono ancora i capitalisti più ricchi. Tali stratificazione e impoverimento di ampi strati della popolazione non solo hanno portato all’emergere di un senso di ingiustizia tra il popolo in relazione alla politica delle autorità, ma sono diventati anche terreno fertile per la crescita di estremismo religioso e sciovinismo panturco.

Negli anni successivi alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il clan Nazarbajev ha adottato una politica nazionalista e autoritaria. Il regime del Kazakhstan ha messo al bando tutte le forze di opposizione, imponendo restrizioni al sindacalismo, mentre ha sponsorizzato organizzazioni nazionaliste, ha beatificato i fascisti della “Legione del Turkestan” tanto da erigere monumenti ai collaborazionisti! In Kazakhstan c’erano 6,5 milioni di russi e circa lo stesso numero di kazakhi, più circa un milione di tedeschi. Dal 1991 è stata adottata progressivamente una politica di discriminazione nella vita e nel lavoro nei confronti degli “allogeni”. Di conseguenza, tre milioni di slavofoni e circa un milione di tedeschi sono fuggiti dal Kazakhstan.

Nel biennio 1989-91 un socialismo malato è stato rimpiazzato da un capitalismo selvaggio che non arretra di fronte a niente. La caduta del socialismo ha dato vita ad una euforica e granguignolesca campagna anticomunista. Burocrati riciclati della nomenclatura comunista ne sono diventati tra i principali protagonisti. La fine del sistema politico si è accompagnata allo smantellamento di un sistema economico e sociale basato sulla proprietà statale o collettiva delle materie prime, delle industrie, dei servizi pubblici, di una politica di piena occupazione e di uno stato sociale universale di impianto lavoristico.

Nei paesi ex socialisti si è formata rapidamente una classe di nuovi ricchi che ha gestito privatizzazioni selvagge, ha arraffato ed espropriato le proprietà collettive e ha aderito con entusiasmo al liberismo. Ma in Kazakhstan, il movimento operaio, i suoi partiti, i sindacati sono presenti e muovono rivendicazioni, chiedono la cacciata definitiva del clan Nazarbajev, le nazionalizzazioni che restituiscano la sovranità al Paese e il ritiro delle truppe straniere e della polizia dalle strade, il rilascio dei sindacalisti e dei cittadini arrestati, e una politica antisciovinista e laica di amicizia tra le nazionalità di uno stato multietnico come fu l’Urss.

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