Esiste una cultura della sicurezza sul lavoro? - di Gabriella Del Rosso

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Per affrontare il tema della sicurezza sul lavoro occorre partire dalla premessa che, nel periodo 2010-15, la legislazione del rapporto di lavoro ha subito profondi cambiamenti. In particolare, si è fatto di tutto per affievolire il vincolo che l’articolo 41 della Costituzione pone all’esercizio dell’impresa, nonostante il testo sia stato integrato recentemente dal riferimento anche alla salvaguardia della salute.

Per favorire l’aumento dell’occupazione – questa la motivazione formale - si è introdotta, con l’art.8 del D.L.138/2011, la possibilità di derogare a norme di legge e di Ccnl, ampliando i poteri della contrattazione di prossimità (come già previsto dalla L.183/2010) e, con determinati limiti, del contratto individuale di lavoro. In altre parole si sono rafforzati i poteri dell’imprenditore e, tra il suo interesse alla temporaneità dei vincoli contrattuali e quello del lavoratore alla continuità e stabilità del posto di lavoro, si è voluto privilegiare il primo.

Con il pacchetto legislativo “Jobs act” (L. delega n.183 /2014, D.lgs 23 e 81 del 2015) si è raggiunto l’obiettivo di superare la tradizionale contrapposizione tra i valori dell’uguaglianza sostanziale e della solidarietà, con i valori dell’efficienza, della competitività e del merito. Il lavoro fisso e continuativo è stato sostituito dal lavoro flessibile, funzionale alle esigenze dell’impresa, nel presupposto di ampliare l’occupazione: obiettivo certamente non raggiunto (pandemia a parte), se non attraverso una frammentazione delle tipologie dei lavori, sconfinata nel lavoro precario, sottopagato e non tutelato della gig economy e dei “lavoretti”, destinati soprattutto ai giovani.

Se la volontà politica è stata quella di dare maggiore spazio alla libertà dell’impresa, spesso ai limiti dell’incostituzionalità, la più accorta dottrina e giurisprudenza non dimenticano che nel contratto di lavoro è coinvolta la persona del lavoratore e deve essere salvaguardata la sua dignità e sicurezza, come da Costituzione. Un giuslavorista affermava che il contratto di lavoro per l’imprenditore riguarda l’avere, per il lavoratore riguarda l’essere.

Per rimanere nel tema della sicurezza del lavoro, in che modo questa evoluzione normativa può avere influito sull’abnorme quantità di infortuni e malattie professionali? Ritengo che il legame sia stretto. Si può osservare che manca la cultura della sicurezza, della prevenzione e della formazione. Infatti i dati numerici sono sempre stati alti, nonostante una legislazione di per sé astrattamente idonea al loro contenimento. Ma è chiaro che più aumenta il lavoro precario, irregolare o al nero, più alto è il rischio di infortuni.

Il ricorso indiscriminato al contratto a tempo determinato - D.lgs n.81/2015 (poco mitigato dal D.L.87/2018, “decreto dignità”) - e al contratto di somministrazione, l’abolizione del vincolo delle mansioni acquisite, l’utilizzo irregolare del contratto di apprendistato e dell’ alternanza scuola-lavoro, l’interposizione illecita di manodopera, sono tutti elementi che favoriscono l’infortunio, perché spesso vengono assegnate mansioni in modo estemporaneo, senza un’adeguata formazione, né soccorre l’esperienza, per l’eterogeneità dei contratti e la frammentazione temporale.

Tale frammentazione spesso scatena la classica “guerra tra poveri”, venendo meno la solidarietà tra lavoratori, che tendono a scaricare sui più deboli ansie e frustrazioni, generando fenomeni di mobbing, oppure assistiamo a ritmi e tempi di lavoro al limite della sopportabilità, con fenomeni di burn-out. In gioco c’è sempre la salute del lavoratore, che il datore di lavoro dovrebbe tutelare per espressa previsione dell’art. 2082 del Codice Civile.

Il D.lgs 146 del 2021 ha introdotto alcune modifiche al D.lgs 81/2008 (T.U. sulla sicurezza del lavoro) attribuendo agli Ispettori del lavoro competenze sulla prevenzione, prima attribuite solo alla Asl. Inoltre si inaspriscono le sanzioni, come la sospensione dell’attività dell’azienda in caso di manodopera al 10% in nero (prima era il 20%). Prevenzione, maggiori controlli, investimenti per la sicurezza sono i giusti strumenti previsti dalla legislazione. Ma gli interventi per la sicurezza troppo spesso vengono visti solo come costi. E, nei fatti, la salute dei lavoratori viene sacrificata al profitto.

Occorre un’inversione di rotta, la creazione di una vera cultura della sicurezza sia da parte delle imprese che degli stessi lavoratori. Per l’art.9 dello Statuto, i “lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”. Sono i compiti affidati alle Rls, che devono essere valorizzate e messe in grado di svolgere appieno la loro funzione.

Creare la cultura della sicurezza sul lavoro dovrebbe essere un compito primario dello Stato in tutte le sue articolazioni, a cominciare dall’introduzione di una specifica materia scolastica.

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