La Cgil per la pace e la giustizia sociale - di Giacinto Botti

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È già autunno caldo. L’Italia sta subendo i costi sociali della guerra e della devastazione climatica. Soffrono il sistema industriale e occupazionale, siamo al razionamento dell’acqua e dell’energia, alla crisi agro-alimentare, oltre alla presenza ancora di una pandemia sottovalutata con un sistema sanitario in difficoltà di risorse e di personale.

L’Italia è in un’economia di guerra, in un’informazione di guerra, in una democrazia di guerra: l’Italia, con l’invio delle armi, è in guerra, siamo cobelligeranti. La guerra è uno spartiacque. Una guerra tra superpotenze, sulla pelle degli ucraini, che si poteva e si doveva evitare.

A quattro mesi dall’inizio di questa carneficina va ricercata non la pace “giusta”, ma la pace possibile. Non si tratta di capitolare dinanzi a un aggressore, a un regime autoritario, ma di fermare l’escalation e di agire su un altro terreno per evitare di finire in una situazione insostenibile a livello mondiale, già nel pieno di una profonda crisi ambientale, sanitaria, agroalimentare, sociale ed economica dalle conseguenze incontrollabili.

Ci porteremo per decenni la lunga scia di tutto questo odio nel cuore dell’Europa. Nel cambiamento geopolitico in atto, la Nato non rappresenta la risposta ai bisogni, alle ambizioni, ai progetti e alla sicurezza dell’Europa. L’uscita dalla Nato ritorna ad essere una possibilità, anzi una condizione inevitabile.

Siamo di parte: partigiane e partigiani per la pace, contro la guerra e il riarmo. Non equidistanti, consapevoli delle responsabilità dell’aggressione russa e concretamente solidali verso le sofferenze della popolazione ucraina, ma non disponibili a metterci l’elmetto a sostegno di una guerra che va fermata subito.

“Ripudiamo” la guerra, tutte le guerre, e ribadiamo il nostro dissenso all’invio delle armi e la nostra contrarietà all’aumento delle spese militari al 2% del Pil, a discapito della spesa sociale e dell’occupazione.

Questo il senso della manifestazione della Cgil il 18 giugno in Piazza del Popolo a Roma per la pace, il lavoro, la giustizia. Perché se vuoi la pace devi costruire un programma, una piattaforma politica sociale e culturale di prospettiva.

Il governo e le forze politiche che lo sostengono sono colpevolmente incapaci di alzare lo sguardo sul futuro, piegati alle politiche belliciste Usa, mentre le emergenze si stanno ampliando. La Cgil deve continuare la sua azione di contrasto e di proposta, dando carattere vertenziale alle rivendicazioni generali, costruendo nuovi rapporti di forza e un movimento ampio di lotta a sostegno di una idea di progresso, di giustizia sociale e di società futura, radicalmente diversa da quella del padronato e delle lobby di potere. Costruendo consapevolezza e partecipazione per una lotta di lunga durata, dando voce e rappresentanza al mondo del lavoro e a chi, giovani, donne e migranti in particolare, vive condizioni di precarietà di vita e di lavoro non degni di un paese civile. La crisi globale non attende i tempi della politica, né quelli della faticosa unità sindacale. Il rischio è di consegnare un pezzo di società all’indifferenza, al qualunquismo e all’individualismo, alla rassegnazione o, peggio, alla deriva populista e qualunquistica della destra.

La Cgil svolge il suo congresso in questa situazione inedita. L’appuntamento di confronto libero e democratico, di coinvolgimento, di attiva partecipazione delle iscritte e iscritti, delle delegate e dei delegati, diviene ancor più importante, a partire dai congressi di base. Con la nostra autonomia di pensiero e di proposta, dobbiamo aggiornare l’analisi, la linea politica, l’agenda e la strategia del prossimo futuro, senza rimozioni delle difficoltà, dei limiti e dei ritardi.

Dobbiamo dare forza alla solidarietà, alla consapevolezza dei problemi generali, a una rinnovata militanza capace di spostare i rapporti di forza. La Cgil non è spettatrice ma vuole, deve essere protagonista del cambiamento e della stessa salvezza della civiltà.

Lavoriamo per costruire ponti di dialogo, di riconoscimento, di solidarietà, di eguaglianza nei diritti e nelle possibilità, di giustizia sociale.

 

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