L’estradizione di Julian Assange - di Alessandro Rettori

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Più di dieci anni fa il fondatore di WikiLeaks ha iniziato a combattere per la sua libertà. Oggi lotta per la sua vita.

Assange deve essere estradato. Priti Patel, Segretario di Stato per gli Affari Interni britannico, il 17 giugno 2022 approva l’ordine di estradizione negli Stati Uniti del giornalista australiano co-fondatore e simbolo di WikiLeaks, che rischia una condanna a 175 anni di carcere. Pochi giorni dopo, i suoi avvocati comunicano di voler presentare ricorso: ci vorranno ancora mesi prima di arrivare a una conclusione della vicenda. Riavvolgiamo il nastro.

WikiLeaks nasce nel 2006 e si basa su un modello semplice: chiunque sia in possesso di materiale riservato di “rilevanza politica, diplomatica o etica” può renderlo pubblico, in modo sicuro e rimanendo anonimo. È così che nel 2010 Chelsea Manning (Bradley, ai tempi), analista di intelligence dell’esercito degli Stati Uniti, invia a WikiLeaks oltre 700mila file classificati che svelano al mondo i crimini di guerra in Iraq e Afghanistan, le violazioni dei diritti umani e la storia segreta delle relazioni diplomatiche statunitensi. La reazione è immediata: le autorità Usa aprono un’indagine su Assange con l’accusa di cospirazione, in associazione con Manning. Parte così una vera e propria caccia all’uomo internazionale.

Ad agosto 2010 le autorità svedesi mettono in piedi un’accusa di stupro e molestie sessuali nei confronti del giornalista australiano – che si trova a Londra – e chiedono che sia estradato per poterlo interrogare: è un caso mediatico, che di concreto – come dimostrano le carte – ha ben poco. Nel 2012 la Corte Suprema inglese acconsente alla richiesta e Assange, che teme di essere consegnato agli Stati Uniti una volta toccato il suolo svedese, si rifugia nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il fondatore di WikiLeaks passerà i successivi sette anni senza mettere piede fuori dalla sede diplomatica, mentre l’indagine svedese verrà chiusa solo nel 2017 con un nulla di fatto.

Nel 2018 si arriva a un punto di svolta. Lenin Moreno, nuovo presidente filo-statunitense dell’Ecuador, cambia drasticamente atteggiamento: impone ad Assange un blocco delle comunicazioni per sette mesi e minaccia più volte la revoca dell’asilo politico. Non solo. Diviene pubblico – per errore, la notizia doveva restare segreta – che nella Corte distrettuale statunitense di Alexandria, in Virginia, è stata depositata un’incriminazione contro il giornalista. La pressione si fa sempre più opprimente, finché l’11 aprile 2019 Moreno revoca l’asilo e consegna Assange alla polizia inglese. Poche ore dopo l’arresto, gli Usa rendono nota una richiesta di rinvio a giudizio. Ad accompagnarla, la domanda di estradizione. Assange viene portato nel carcere britannico di massima sicurezza di Belmarsh.

L’accusa è di aver violato l’Espionage Act del 1917, concepito durante la Prima guerra mondiale per criminalizzare lo spionaggio in favore del nemico. Inizia così il processo di estradizione: la difesa oppone alla richiesta statunitense la natura politica dell’incriminazione, la tutela della libertà di espressione, il diritto a un giusto processo e, infine, le condizioni di salute di Assange. Come dimostrato dai report medici presentati al dibattimento, il giornalista soffre di disturbo depressivo cronico con allucinazioni, ansia generalizzata, stress post-traumatico e pensieri suicidi.

Nel gennaio 2021 la sentenza di primo grado: il giudice britannico nega l’estradizione esclusivamente per via delle condizioni di salute che rendono reale il rischio suicidio una volta trasferito in una prigione statunitense. Gli altri punti, invece, vengono respinti. Per gli Stati Uniti è così sufficiente avanzare (vuote) garanzie sul “giusto” trattamento che Assange riceverà negli Usa, e in appello la sentenza è ribaltata. A marzo 2022 gli avvocati chiedono di poter presentare ricorso, ma la Corte Suprema inglese rigetta la domanda. Il caso arriva quindi a oggi e al Segretario di Stato che dà il via libera all’estradizione.

Ma Assange non si arrende. Il 23 e il 30 giugno gli avvocati ufficializzano un nuovo doppio ricorso contro la decisione di Patel e contro i punti della sentenza di primo grado che accoglieva la posizione dell’accusa. È sempre più probabile, tuttavia, il rischio di estradizione e la condanna negli Stati Uniti, che stabilirebbe un precedente gravissimo per la libertà di stampa e la libertà di espressione in tutto il mondo.

Il fondatore di WikiLeaks è tuttora in isolamento in carcere, in condizioni di salute precarie. Più di dieci anni fa Assange ha iniziato a combattere per la sua libertà. Oggi lotta, letteralmente, per la sua vita.

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