Non sarà una tassa piatta, ma i danni saranno ingenti - di Claudio Treves

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Oltre ai noti temi del (semi)presidenzialismo e dell’autonomia differenziata, che già da soli prefigurano uno stravolgimento profondo degli equilibri costituzionali a tutto danno della previsione dell’articolo 3 che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli al pieno dispiegarsi dell’uguaglianza di tutti i cittadini, un passaggio del discorso per la fiducia della presidente del Consiglio è passato sotto troppo silenzio. La presidente ha annunciato l’intenzione di portare per i lavoratori autonomi la tassazione forfettaria del 15% del reddito al limite di 100mila euro annui. Già sento i molti che dicono “non bisogna avere pregiudiziali, mettiamoli alla prova”e mi ricordano che una tassazione forfettaria già esiste in Italia, riguarda proprio gli stessi soggetti e l’unica variazione è quella di portare il tetto dagli attuali 65mila a 100mila euro: “Che sarà mai? - concludono - Si vede che siete pregiudizialmente, ideologicamente prevenuti.”

Ok, ci sto. Non ho alcuna “pregiudiziale disponibilità” verso questa maggioranza e questo governo, ma non credo sia questo il punto. Il punto è che si allarga sensibilmente, con quella modifica, la disparità di trattamento tra percettori di entrate analoghe o identiche, perché l’aliquota corrispondente ad un reddito da lavoro dipendente oscillerebbe tra il 38 e il 43%, e si sarebbe in presenza di un forte indebolimento - se vogliamo essere gentili - del principio di eguaglianza.

Vincenzo Visco, su “Domani” del 27 ottobre, ha calcolato che già oggi (cioè con l’imposta forfettaria per redditi di fonte autonoma fino a 65mila euro) il risparmio in termini di imposte personali ammonterebbe a 2.500 euro annui a fronte di un identico reddito di 35mila euro, il che vuol dire che la diseguaglianza è destinata ad aumentare, e di molto.

Non solo: una norma di tal fatta costituirebbe un fortissimo incentivo per le imprese e i committenti a “consigliare caldamente” i propri dipendenti - specie se con redditi medio-alti - a passare al nuovo regime fiscale, ossia a dismettere la condizione di lavoratore subordinato e assumere quella di lavoratore autonomo o libero professionista. Mi si potrà obiettare che sono scelte personali, e che la dobbiamo smettere di trattare i lavoratori come bambini da proteggere. Concesso anche questo, ma allora diciamola tutta e compariamo la condizione di dipendente con quella di autonomo. Da una parte una condizione contrattata collettivamente, da cui discendono salario, ferie, tutele in caso di malattia, infortunio, maternità, diritti sindacali e possibilità di migliorare tutto ciò se si sviluppa la contrattazione in azienda. Dall’altra, beh certo tanti vantaggi fiscali, ma tutele molto minori in caso di maternità, nessun diritto sindacale, salario, anzi compenso solo con trattativa individuale (ed è noto che il manico di quel coltello sta nelle mani di chi può sempre dire “ok, grazie, cerco altrove”), nessun limite d’orario, e infine costi previdenziali più alti (in proporzione) a fronte di prospettive pensionistiche molto inferiori. E poi si dovrebbe sapere che una volta compiuto quel passo, difficilmente si potrebbe tornare indietro. Insomma il rischio di un ulteriore frammentazione del mondo del lavoro sarebbe forte, e certamente non per il meglio di tutti.

Dunque? La tanto bistrattata Cgil, fin dal lontano 2016, ebbe un’idea che venne addirittura portata nelle assemblee dei lavoratori e dei cittadini, e che poi trasformò addirittura in una proposta di legge di iniziativa popolare depositata in Parlamento, e lì lasciata dormire, purtroppo, da chi quella proposta poteva sostenere. In cosa consisteva quest’idea? Semplicemente nell’affermare che a prescindere dal nome del rapporto di lavoro (dipendente, autonomo, socio di cooperativa), chi lavora ha diritto di godere degli stessi diritti, sia pure declinati in modo corrispondente al tipo di rapporto che si instaura.

Così - ad esempio - il diritto alle ferie si traduce, nel caso di un lavoratore autonomo, nel diritto al riposo che deve poter essere esercitato anche durante lo svolgimento di una commessa, o il diritto alla formazione si può esercitare come un diritto alla partecipazione, a carico delle istituzioni, ad occasioni formative (per esempio, si potrebbe pensare ad un’estensione della funzione del recente Fondo Nuove Competenze).

Quindi, se si volesse, e soprattutto se oltre ad opporsi a provvedimenti del genere si volesse davvero sfidare la maggioranza, ecco un’elaborazione che si potrebbe rilevare assai utile per un’opposizione all’altezza.

Ma la cosa riguarda ovviamente anche noi, che spesso non ricordiamo adeguatamente le nostre stesse elaborazioni. Intanto, un semplice ma decisivo articolo da aggiungere nei Contratti collettivi: “Qualora si decidesse l’affidamento di attività a collaboratori autonomi, le condizioni della prestazione di quest’ultimi non potranno essere inferiori a quanto previsto per lavoratori dipendenti equivalenti secondo il presente Ccnl”.

Difficile, certo; ma le possibilità ci sono, e provarci non è proibito.

 

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