Caro bollette: la speculazione pesa più della guerra - di Maurizio Brotini

Stella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattivaStella inattiva
 

Alessandro Volpi, “Crisi energetica. Le ragioni di un’emergenza”, Edizioni della Vela, pagine 88, euro 12.

Nell’asfittico dibattito politico il tema dell’impennata dei prezzi dell’energia, con la ricaduta dell’aumento esponenziale delle bollette, viene univocamente ricondotto all’intervento russo in Ucraina. Sfumato è pure il rapporto tra tale aumento e l’inflazione derivante, come se la sua crescita fosse ritenuta un male accettabile se non utile.

Ma è proprio così? Soccorre per una visione più ampia e accorta l’agile e puntuto libello del professor Alessandro Volpi “Crisi energetica. Le ragioni di un’emergenza”. E’ uno strumento di battaglia delle idee che si colloca in un percorso di ricerca che ha visto la pubblicazione, con Leonida Tedoldi, di una robusta “Storia del debito pubblico in Italia dall’Unità ad oggi”, e una costante attivista pubblicistica sui temi della borsa e della finanza.

La tesi di fondo è che sarebbe un errore identificare mercato e capitalismo e che la finanziarizzazione sta uccidendo il mercato (definito come lo strumento attraverso cui procedere ad una giusta ed efficace allocazione delle risorse – mentre il capitalismo è qualificato dalla “pervicace ricerca del profitto”), producendo distorsioni evidenti del suo “normale” funzionamento. Si fa riferimento all’ipotesi classica dei prezzi determinata dal gioco della domanda e offerta, dove viene postulato un rapporto stretto e diretto tra quantità del bene disponibile e sua richiesta.

Affrontando con questo taglio la questione dei costi energetici, è facile constatare che l’aumento del costo era preesistente all’intervento russo, che gli approvvigionamenti non erano affatto diminuiti nel conflitto, e che i fabbisogni energetici non erano affatto cresciuti in maniera proporzionata all’aumento dei prezzi.

Come ricorda l’autore, l’attuale impennata dei costi non ha precedenti storici. La crisi del 1973 vide un aumento del prezzo del barile di petrolio del 30-40%, quella del 1979 poco più del raddoppio, quella attuale ha visto il prezzo del megawattora passare da 30 fino a 200 euro. E questo è avvenuto perché “la finanziarizzazione dei prezzi dell’energia è oggi infinitamente superiore rispetto agli anni Settanta. Peraltro, la diminuzione dell’offerta reale di petrolio è stata decisamente maggiore rispetto all’attuale contrazione. Dunque, la trasformazione dell’energia in una scommessa finanziaria è una novità assoluta, in termini storici, che ha generato un aumento dei prezzi altrettanto sconosciuto”.

Come è stato possibile? L’Europa ha scelto l’hub di Amsterdam come mercato di riferimento, un mercato piccolo, dove sono scambiati pochi volumi reali, e fortemente speculativo, popolato in maggioranza da soggetti finanziari esterni a produzione e distribuzione. Ha agganciato inoltre il prezzo di tutte le fonti energetiche a quello del gas, privilegiando gli acquisti giornalieri ai contratti di lungo periodo. Nel nostro paese il prezzo del gas è definito dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), e per quasi la metà dipende dai cosiddetti oneri di sistema, in buona parte costituiti da varie forme di prelievo fiscale. L’altra metà dipende dal prezzo della materia prima gas, che solo in parte dipende da domanda e offerta reale.

La prima osservazione riguarda una delle origini degli extraprofitti: spesso i venditori hanno comprato in precedenza la materia prima ad un prezzo infinitamente più basso rispetto all’attuale. Cioè ti fanno pagare 200 quello che a loro è costato e continua a costare 30. Ma i prezzi sul mercato reale sono solo un pezzo del prezzo finale del gas, determinato dalla speculazione finanziaria di fondi hedge, banche ed altri soggetti finanziari che scommettono sul prezzo definito all’hub di Amsterdam, dove operano 218 soggetti finanziari, di cui 164 fondi apertamente speculativi (dati marzo 2022).

Senza escludere i soggetti speculativi dal luogo dove di determina il prezzo ci troveremo sempre esposti alla finanza che si mangia l’economia reale, impoverendo classe lavoratrice e maggioranza dei ceti medi. Ma nella discussione corrente il tema resta eluso.

L’autore non si appella soltanto al mercato contro la speculazione, ma indica nel ruolo e nella direzione delle politiche pubbliche l’unica e realistica strada da intraprendere. È stata infatti la scelta dei democratici americani alla Clinton ad alimentare la crescita fuori controllo della finanza globalizzata.

Alla politica ed alle organizzazioni dei lavoratori tocca riprendere in mano la bandiera della ri-nazionalizzazione dei comparti energetici e della de-finanziarizzazione dell’economia, con ripubblicizzazioni dei servizi pubblici locali, dei settori industriali ed infrastrutturali strategici, ivi compresa la logistica. Lo stanno facendo in Francia e in Germania, e nella stessa Inghilterra. L’alternativa è squadernata dal governo Meloni: aiuti alle imprese e ai ceti medio-alti senza toccare grandi ricchezze e rendite immobiliari e finanziarie, recuperando risorse da classi lavoratrici e pensioni da lavoro, tagliando il residuo stato sociale.

©2024 Sinistra Sindacale Cgil. Tutti i diritti riservati. Realizzazione: mirko bozzato

Search