Qatargate: la Cgil parte lesa - di Giacinto Botti

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Mentre il mondo del lavoro, i pensionati, gli studenti manifestano e scioperano con la Cgil e la Uil, irrompe nel paese uno scandalo di enorme portata che crea in me, in noi, sconcerto, vergogna, indignazione e rabbia. L’avvilente verminaio che sta emergendo fra Strasburgo e Bruxelles fa male alle istituzioni europee, alla sinistra riformista e socialista, europea e italiana, al paese e a ogni onesto cittadino. Fa male alle Ong, ad ogni associazione di solidarietà e di impegno civile e sociale. Fa male al sindacato per gli accostamenti strumentali in atto, umiliando i militanti che lo sostengono e lo fanno vivere ogni giorno.

Corrotti e corruttori, fiumi di denaro riciclato, ricchezze smodate e poteri finanziari e lobbistici sono un’offesa al popolo degli onesti, a chi sta scendendo in piazza a manifestare. Nessun moralismo e sconto per nessuno, non rassegnazione ma rabbia di classe, sentimento di rivalsa verso tanta ingiustizia, voglia di cambiamento e di lottare: questa è la giusta risposta collettiva e individuale a questo scempio.

Più che nella politica, incapace di prevenire, di autocritica e di far pulizia al proprio interno, oggi confidiamo nella magistratura affinché proceda senza condizionamento a stabilire tutta la verità su questa vicenda infamante e sulle “personalità” intercettate, indagate e arrestate per “organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio”, per aver incassato regali e mazzette dalla lobby dei mondiali in Qatar e non solo.

Questa per noi sindacalisti della Cgil è una ferita nell’animo, ed è cosa ancor più imperdonabile perché fatta sulla pelle dei lavoratori e sui diritti di un’intera popolazione.

Si sono fatti corrompere dall’emirato, con sacchi di soldi elargiti per favorire il sostegno del Parlamento europeo all’assegnazione dei mondiali di calcio al Qatar, solo per avidità e senso di potere. Rappresentanti spregiudicati delle istituzioni che hanno mentito e propagandato progressi inesistenti riguardanti i diritti umani e del lavoro e le condizioni di lavoro dei migranti in quel paese oscurantista e dittatoriale. Un paese dove sono morti a migliaia durante i lavori per garantire gli stadi e le strutture per il mondiale di calcio.

Allo stesso tempo non possiamo far finta di nulla e illuderci che la sporca valanga che si sta ingrossando e precipitando a valle non toccherà nell’immaginario collettivo la credibilità della nostra organizzazione. La destra, con i suoi organi di informazione, esulta senza pudore, e sta facendo un uso politico e strumentale dello scandalo, rimuovendo le pagine nere e nefaste del berlusconismo, le leggi “ad personam”, la corruzione e gli scandali che l’hanno attraversata e l’attraversano.

L’uso politico è facilitato dal coinvolgimento di personalità del socialismo europeo e di un ex eurodeputato Pd, fino a vent’anni fa dirigente milanese e nazionale della nostra organizzazione. Anche - speriamo non comprovato - del segretario generale appena eletto della Confederazione internazionale dei sindacati, di provenienza Uil, già segretario generale della Ces.

Si fanno accostamenti offensivi verso la nostra organizzazione, che lasciano il segno nella pancia e nella testa di tanti cittadini, in particolare in Lombardia. I giornali, soprattutto di destra, rilanciano e strumentalizzano per sostenere una campagna mediatica di stampo qualunquista, fondata sui soliti luoghi comuni: “rubano tutti”, “sono tutti uguali”.

È uno scempio che sta ammutolendo la parte onesta del paese, tante compagne e tanti compagni democratici, di sinistra, militanti e iscritti della Cgil, creando un clima di diffidenza che potrebbe portare all’abbandono dell’impegno, all’allontanamento dalle istituzioni, dai partiti e dalla nostra organizzazione. Ma la Cgil è parte lesa!

La questione comunque non si può rimuovere. Si parta da una profonda riflessione, una feroce autocritica su come e quando le istituzioni, i partiti, le organizzazioni hanno perso credibilità nel sentire popolare, quando le differenze morali ed etiche tra destra e sinistra si sono perse nel mare dell’affarismo, nel lobbismo, nel carrierismo, nell’avidità personale e di gruppo.

Il realismo cinico, la sete di potere e la realpolitik hanno prevalso sull’etica e su ogni valore. Troppi dirigenti politici progressisti, riformisti, democratici, sono divenuti consulenti del potere economico, lobbisti e procacciatori d’affari. La questione morale e la legalità sono spariti da tempo dai valori di una politica spesso inguardabile, priva di etica, rinchiusa nei propri palazzi.

L’occupazione da parte dei partiti delle strutture di potere, nelle aziende pubbliche o a partecipazione pubblica, nei gangli della finanza e dell’economia era stata sollevata già negli anni ‘80 da un grande e inascoltato dirigente del partito comunista, Enrico Berlinguer, oggi richiamato strumentalmente e a sproposito da parte di troppi ipocriti. La questione morale, l’etica della responsabilità, l’onestà, prima di essere questioni di ordine penale sono questioni politiche, di principio costituzionale, di sistema sociale e democratico. Nella corsa inebriante al potere e alla ricchezza personale tutto è divenuto lecito e giustificabile, e gli anticorpi istituzionali sono stati in parte neutralizzati, mentre nei partiti senza identità e rapporto di massa sono stati resi inutili.

È tempo di riaprire una discussione franca, coraggiosa su come si possano prevenire e combattere con severità gli episodi di corruzione, evitando di tollerare o peggio spostare altrove il problema. Questo deve valere a maggior ragione per un organismo sano com’è la nostra organizzazione. La responsabilità penale è individuale, ma quando si ricopre una carica istituzionale di rappresentanza, un incarico dirigenziale, un ruolo nel sindacato, soprattutto nella Cgil diviene questione collettiva e politica. Perché sindacalista della Cgil si è sempre, nel bene e nel male.

Mi interrogo da “anima bella” - così Panzeri chiamava chi nello scontro-confronto sindacale di allora continuava a credere con coerenza nelle cose che faceva e diceva - su come abbia potuto un dirigente affermato, con il quale si sono fatte tante mobilitazioni e iniziative, aver raggiunto tali livelli di spregiudicatezza e di tradimento degli ideali, dei valori per cui ci sentivamo parte della stessa organizzazione.

Questa domanda umana assilla molti dirigenti che, come me, l’hanno conosciuto e pure chi lo ha contrastato sul piano politico sindacale. Già, perché allora era un dirigente appartenente all’area dei “riformisti” e da poco alla guida dell’ufficio europeo della Cgil, iscritto ai Ds e dalemiano convinto. Fu protagonista e promotore, nel settembre del 2003, del documento dei 49, intitolato “Europa, Unità, Autonomia, Lavori”, che, nella dialettica democratica e nelle regole di pluralismo interno, si poneva in contrasto con le posizioni sindacali e le scelte assunte prima dalla Cgil di Sergio Cofferati e poi di Guglielmo Epifani. Da posizioni opposte, ci sentivamo comunque, con lealtà e rispetto, compagni e militanti della Cgil.

Occorre avere consapevolezza che la deriva culturale e individuale nel paese e nella politica bussa alla nostra porta e che nessuno può esserne con certezza esente; ci affidiamo individualmente alle compagne e ai compagni che ci stanno a fianco, collettivamente alle regole e ai principi etici e morali di una Cgil che ha storia e buoni anticorpi, da applicare e rafforzare, per curare, intervenire e prevenire questo contagio che ruba l’anima.

Siamo militanti di un’organizzazione con forti valori sociali e solidali, con profonde radici storiche nella sinistra politica e antifascista, nel movimento operaio internazionale. La nostra diversità non la proclamiamo, l’agiamo con coerenza e impegno ogni giorno come militanti della Cgil e nelle sue categorie, nei luoghi di lavoro, nella società, nelle sedi nazionali e territoriali, sempre più luogo di rappresentanza di ascolto e di accoglienza.

La nostra Cgil è parte lesa, e per storia e natura non è e non potrà mai essere la casa dei corruttori e dei corrotti.

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