La Fortezza Europa causa l’ennesima tragedia umanitaria sulla rotta balcanica - di Sinistra Sindacale

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Sotto la neve alle porte dell’Europa è da tempo in corso una catastrofe umanitaria. Erano almeno 3mila le persone che, dalla vigilia di Natale, vagavano nel cantone di Una Sana in Bosnia Erzegovina, costrette a vivere all’addiaccio con temperature sotto lo zero. Buona parte di esse provengono dal distrutto campo temporaneo di Lipa, a 30 chilometri da Bihac´.

Dopo l’incendio che ha distrutto il campo, centinaia di migranti dormono in baraccopoli o nei boschi. Nonostante la neve, molti sopravvivono senza neppure un tetto sopra la testa. Questa tendopoli malconcia e improvvisata, costruita ad aprile per far fronte all’emergenza Covid e gestita dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), avrebbe dovuto ospitare mille persone, ma ce n’erano almeno 500 in più.

Il campo era nato male. Quattro tendoni-dormitorio con 120 letti a castello. L’elettricità arrivava grazie a generatori a cherosene, saltati con le prime nevicate. L’Oim aveva chiesto alle autorità di munirlo per l’inverno con acqua ed elettricità, indispensabili per il gelo con temperature sotto lo zero e la neve. In mancanza, aveva dato una scadenza per chiudere il campo: il 23 dicembre doveva esserci l’evacuazione, ma alle 11 del mattino un tendone ha preso fuoco.

I migranti ora non hanno dove andare. I campi di Sarajevo sono strapieni. Chi ha provato ad andare a Bihac a piedi è stato rimandato indietro dalla polizia. La Croce rossa distribuisce ogni giorno dei pasti, ma non è abbastanza. I ragazzi di Lipa sono tutti giovanissimi: tra i 23 e i 25 anni, con qualche minorenne. Vengono in prevalenza dall’Afghanistan e dal Pakistan.

Dopo l’incendio, alcuni se ne sono andati per raggiungere la Croazia, e dunque l’Europa. Ma non fanno i conti con la polizia: arrivano al confine e vengono catturati, spesso picchiati e spogliati di quel poco che portano con sé, abbandonati sulle montagne o sulle rive di un fiume.

In attesa di una sistemazione, i migranti potrebbero tornare al campo di Bira di circa 2mila posti, il più grande di tutta la Bosnia, sempre nel cantone di Una Sana. Da settimane i residenti organizzano picchetti davanti al campo: non vogliono far entrare più nessuno.

La Bosnia è diventata il collo di bottiglia della rotta balcanica dei migranti, ufficialmente chiusa dall’Ue nel 2016, con l’accordo di detenzione dei migranti in Turchia. Negli ultimi due anni nel Paese sono stati registrati quasi 70mila profughi. Delle circa 9mila persone attualmente in Bosnia, soltanto 6mila sono nei campi. Tutti gli altri sopravvivono come possono, nei palazzoni e nelle fabbriche in rovina.

Da mesi diverse organizzazioni internazionali, associazioni e volontari denunciano le condizioni insostenibili in cui vivono queste persone. La rete “RiVolti ai Balcani” - composta da oltre 36 realtà a difesa dei diritti delle persone e dei principi della Costituzione italiana e delle norme europee e internazionali – raccoglie l’appello che arriva da cittadini, attivisti e volontari bosniaci e dalla rete regionale Transbalkanska Solidarnost. Chiedono all’Unione europea, all’Unhcr, all’Oim, al governo bosniaco, alle autorità del Cantone Una Sana e del Comune di Bihac´, alle autorità delle due entità del paese – la Federazione e la Republika Srpska - che sia trovata una soluzione immediata all’emergenza umanitaria; siano individuate soluzioni a lungo termine che dotino la Bosnia di un effettivo sistema di accoglienza; sia attivato un programma di evacuazione umanitaria e ricollocamento dei migranti in tutti i paesi dell’Unione Europea.

Sono appelli cui se ne aggiungono altri, resi pubblici negli ultimi giorni. Come quello del 26 dicembre di Unhcr, Oim, Danish Refugee e Save the Children, che operano nel Paese, in cui si chiede alle autorità locali di fornire l’immediata soluzione alternativa di alloggio, e viene ribadita la disponibilità delle quattro organizzazioni a sostenere gli sforzi delle autorità locali e organizzare l’assistenza necessaria. Ma anche l’appello dei volontari e attivisti di No Name Kitchen, Sos Balkanroute, Medical Volunteers International e Blindspots, rivolto all’Ue e ai suoi Stati membri.

E’ infatti l’ennesima vergogna delle politiche della Fortezza Europa quello che sta accadendo in Bosnia. I migranti che riescono a sfuggire alla detenzione nella Turchia di Erdogan sono costretti ad una vera e propria via crucis: dalle isole greche (si veda la tragedia del campo di Moria a Lesbo) al confine militarizzato tra Grecia e Bulgaria, alla Serbia, alla Bosnia Erzegovina.

I più “fortunati”, quelli che tentano il “game” – come viene tragicamente definito – con inenarrabili sacrifici e violenze giungono fino alla Slovenia e alla stessa Italia, dove – come denunciano le ong, al confine tra Friuli e Slovenia vengono spesso del tutto illegalmente deportati dalle forze di polizia – in operazioni congiunte italo-slovene – fino in Croazia per essere ricacciati fuori dai confini europei. Queste sono l’Italia e l’Europa “dei diritti umani”… 

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