Just Eat e le assunzioni: sarà la svolta che aspettavamo? - di Davide Contu

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Mentre le piattaforme del food delivery – grazie all’accordo, che pretende di essere collettivo, siglato da Ugl e Assodelivery – giustificano con la digitalizzazione le pratiche ottocentesche del cottimo e della decisione arbitraria, volta per volta, della retribuzione delle singole prestazioni, Just Eat Takeaway è uscita dal branco e ha lanciato il suo programma di assunzioni dei rider in tutta Europa. In Italia si partirà a breve da Monza, con i primi 50 rider, e si prevede che entro il 2021 tutti i fattorini della piattaforma saranno finalmente lavoratori dipendenti.

E’ una svolta importante, che scardina la retorica di Assodelivery per cui questa professione non possa essere considerata che autonoma. Ma non è solo una questione di dialettica ideologica, giuridica o di marketing: si potrà finalmente dimostrare, concretamente, che la deroga all’articolo 2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 operata da Ugl e Assodelivery, che ha trasferito i rider dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato alle non-tutele dell’art. 2222 del Codice Civile, non ha alcuna giustificazione reale relativamente all’organizzazione del lavoro, ma risponde solo alle esigenze di lucro delle multinazionali del food delivery.

A quali condizioni avverrà la svolta di Just Eat? Ancora non è chiaro, poiché resta la necessità, primaria, di identificare un Ccnl a cui agganciare le retribuzioni, e da derogare con una contrattazione di secondo livello relativamente alle esigenze di flessibilità tipiche del settore. Le trattative tra Just Eat e le parti sociali, tra cui Cgil con Nidil, Filt e Filcams, sono ancora in corso. Ne sapremo di più man mano.

Comunque, a prescindere dalle condizioni, resta la svolta e il messaggio: si può fare diversamente, è possibile riconoscere tutele e diritti minimi sotto cui non si potrà andare. è possibile investire sui lavoratori e sulle lavoratrici e comunque continuare a fare business. Un messaggio per il legislatore, per il ministero, per l’Ispettorato nazionale del lavoro, per i giudici, per il cliente consapevole che cerca eticità nei suoi acquisti. Uno strumento in più per l’incessante attività nei tribunali, oltre che istituzionale, con cui Cgil, sentenza dopo sentenza, sta costruendo una giurisprudenza favorevole e applicabile a questo comparto. Fin qui non dico niente di nuovo. Ma per il rider? Cosa rappresenta questa svolta?

La mia vita da rider, prima di intraprendere un percorso di militanza molto intenso con Nidil a Milano, era più o meno questa: seduto sul mio scooter in attesa gratuita, in attesa quasi di una ricompensa per quella mezz’ora o più di tempo regalata ad una multinazionale. Attesa per un ordine che tarda ad arrivare. Attese ripetute che a volte si convertono in ansia, poi angoscia fino alla depressione, di quelle che annichiliscono.

Quella violenza economica e psicologica subita nell’essere obbligato a regalare il tempo della mia vita, che nessuno mi ridarà più indietro, che arriva quasi a farmi ringraziare quando l’algoritmo si ricorda di me assegnandomi un ordine, pagato due o tre monete... È lì che si diventa schiavi moderni, quando ringrazi il tuo aguzzino, anche se formalmente nessuno ti obbliga. E quando in un mese superi i 2.000 euro lordi, lavorando sessanta ore alla settimana, ti ritrovi a ringraziare ancora di più, ormai sei preso dalla sindrome di Stoccolma. Succede per davvero, non è un’iperbole. Così era prima per me (la militanza ti salva), probabilmente lo è ancora per molti colleghi.

Sarò blasfemo parlando di una multinazionale in grado di offrire speranza attraverso una strategia commerciale diversa da altre, etica (?), ma pur sempre finalizzata al business in un sistema economico che di etico ha ben poco. Ma è quello che sta succedendo, che avverto in me e in molti altri miei colleghi. E questo restituisce la misura di come siano gravi le condizioni di sfruttamento, in termini economici, psicologici, emotivi e fisici, in cui ci troviamo noi rider attualmente.

Dovremo esser bravi noi lavoratori, che siamo anche sindacato, a trasmetterla ai nostri colleghi questa speranza, con tutta l’allegria che l’accompagna e in maniera intelligente. E’ uno strumento di coinvolgimento. La svolta di Just Eat è importante, ma è solo una svolta e riguarda solo il 10% dei rider in Italia. E’ un punto di partenza sul quale puntare i piedi con molta forza, per resistere al furto costante di diritti, e riprendere così il cammino verso l’alto, verso la conquista della nostra primavera.

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