Pianeta Riabilitazione, un mondo di diritti da conquistare - di Frida Nacinovich

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Quello della riabilitazione è un mondo che, in un modo o nell’altro, tutti finiscono per conoscere. Dal banale incidente domestico a quello stradale, dall’infortunio sportivo a quello sul lavoro, senza dimenticare gli acciacchi legati all’età, alzi la mano chi non è mai stato da un fisioterapista. Una professione che è più importante di quanto comunemente si pensi, anche se compare sulle pagine dei quotidiani solo quando a farsi male è il calciatore professionista di turno. Gli esperti della riabilitazione sono dei piccoli maghi che, seduta dopo seduta, ti rimettono in sesto dopo un infortunio muscolare, articolare, osseo, nei casi più gravi, quando c’è da recuperare le stesse funzioni neuromotorie o cognitive, a partire dalla parola.

A Cerveteri, comune di quasi 40mila abitanti alle porte di Roma, c’è ‘Pianeta Riabilitazione’, centro specializzato in tutta una serie di servizi che vanno dalla fisioterapia all’ortopedia, passando per la logopedia, la riabilitazione neuromotoria e la neuropsicomotricità dell’età evolutiva. La struttura è privata, ma accreditata con la Regione Lazio, quindi con il Servizio sanitario pubblico. Roberta Ferdinandi ci lavora praticamente da sempre, è entrata diciotto mesi dopo l’inaugurazione, come lavoratrice a partita Iva. Passati cinque anni, nel 2006, è stata contrattualizzata. Un lavoro part-time, da trenta ore la settimana, fianco a fianco con medici e colleghi che si occupano dei vari tipi di riabilitazione. “La struttura ha solo quindici dipendenti - racconta - e in parallelo diverse collaborazioni con liberi professionisti”.

Va da sé che anche ‘Pianeta Riabilitazione’ ha subito gli effetti collaterali della pandemia. “Siamo stati chiusi dal 16 marzo dello scorso anno fino alla fine di aprile, il lavoro a regime è ripreso il 18 maggio. L’azienda non ha fatto ricorso alla cassa integrazione in deroga né al Fis, il fondo di integrazione salariale, ma ha avuto accesso all’anticipo regionale del 90% del budget, lasciando sospeso il 10%”.

L’emergenza sanitaria ha stravolto i ritmi di vita e di lavoro, per forza di cose. Ferdinandi è stata comunque attenta a quello che le accadeva intorno. “Dato che sono l’unica iscritta al sindacato fra i dipendenti di ‘Pianeta Riabilitazione’, mi confrontavo quasi quotidianamente con la Camera del Lavoro di Civitavecchia. Si discuteva di ferie, di chi non aveva deciso di accedere all’anticipo e aveva dovuto consumarle tutte, vecchie e nuove, per ritardare il ricorso agli ammortizzatori sociali. Il centro di riabilitazione era rimasto chiuso durante il lockdown, non aveva fatto ricorso né al Fis né alla cassa integrazione in deroga, noi dipendenti avevamo comunque scelto di cedere il monte ferie arretrate. Una volta rientrata, a maggio, prendo la busta paga e scopro che alla voce ferie c’è un ‘- 2’. Per farla breve, oltre a quelle pregresse l’azienda pretendeva di intaccare anche le ferie riguardanti l’anno in corso. Ho subito detto loro che non funzionava così, in risposta mi hanno chiesto di quante ferie avessi bisogno. Ho sgranato gli occhi e replicato: ‘Solo quelle che mi spettano’. Nè un giorno di più né un giorno di meno. Ho restituito la busta paga contestando il conteggio ferie. È andata a finire che le hanno restituite inizialmente soltanto a me, per poi provvedere al riallineamento per tutti”.

Ferdinandi lavora dal lunedì al venerdì, ha chiesto ed ottenuto di ridistribuire le ore in modo da poter raggiungere il compagno a Mestre. Le aziende con pochi dipendenti, è noto, hanno più facilità a licenziare. “Negli anni della crisi iniziata nel 2008, la direzione aziendale avrebbe voluto che io lavorassi solo venticinque ore la settimana, rinunciando per ‘necessità personali’ alle cinque ore restanti. Come unica dipendente con una figlia - allora minore - a carico, mi rivolsi a un avvocato e contestualmente ad un rappresentante sindacale. Non solo non hanno potuto mandarmi via, ma mi hanno dovuto lasciare tutte e trenta le ore. Come ‘ritorsione’ per due anni ho dovuto abbandonare l’ambulatorio per essere destinata alle sole terapie domiciliari. Proprio in questa occasione ho incontrato la Fp Cgil di Civitavecchia, senza esitazioni ho fatto la mia prima tessera, sentendomi anche dire se fossi per caso impazzita ad aver portato il sindacato in struttura”.

Nel 2017 Ferdinandi diventa delegata sindacale. “ La Cgil - tira le somme - mi è sempre stata a fianco, anche quando non ero iscritta. La militanza mi ha insegnato il significato della lotta. Finalmente abbiamo un nuovo contratto, dopo 17 anni di mancato rinnovo, una una-tantum ‘riparatoria’, un adeguamento di livelli e di tabellari”. Il 26 aprile scorso, nel suo giorno libero, Roberta è andata a manifestare con la polizia penitenziaria per sostenere una categoria costretta a lavorare in condizioni insostenibili. “È di questo che c’è bisogno, trasmettere il messaggio che ho appreso: uniti e insieme si può”.

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