La rete di sinistra sindacale europea a confronto sulle lotte ad Amazon e nella Gig economy

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Più di ottanta compagne e compagni da diversi paesi europei hanno partecipato, lo scorso 2 giugno, alla videoconferenza del Tune, rete sindacale europea, sostenuta dal gruppo della Sinistra al Parlamento europeo Gue/Ngl, su “Dare forma alle lotte del futuro, da Amazon alle piattaforme”.

A fare gli onori di casa Heinz Bierbaum, presidente della Sinistra europea, nel 1999, da sindacalista dell’Ig Metall, fondatore del Tune, insieme alla nostra area “Alternativa Sindacale”. Con Heinz, le tre sessioni di lavoro sono state introdotte dagli europarlamentari Martin Shirdewan, Nikolaj Villumsen e Ozlem Demirel.

Nella prima sessione su “Sindacati e Gig economy” il ricercatore dell’Istituto Sindacale Europeo, Kurt Vandaele, si è soffermato sulla situazione dei lavoratori delle consegne di cibo a domicilio in Belgio. Sono subito emerse le sfide comuni, a partire dalla definizione dello status di questi lavoratori tra lavoro (falsamente) autonomo e lavoro dipendente. In Belgio la situazione legale si è modificata: nel 2016 ne era stato sancito lo status di lavoratori autonomi, accompagnato da esenzioni fiscali e contributive; nel febbraio del 2018 le norme sono cambiate, con la possibilità alle parti di definire lo status dei lavoratori. Si è arrivati ad un contratto collettivo con Deliveroo, ma restano nel limbo i rider di altre piattaforme. Da un’indagine sui rider è risultato che il 56% non conosce il sindacato, il 34% ha una posizione ambivalente e solo il 10% rifiuta l’affiliazione, ritenendosi un lavoratore autonomo. Vandaele ha annunciato per il prossimo anno i risultati di un’indagine sui rider di 14 Paesi europei.

Della situazione in Spagna ha parlato Carlos Gutierrez, delle Comisiones Obreras. Qui il sindacato ha sostenuto le cause legali dei rider. Dopo sentenze alterne, la Corte Suprema ha riconosciuto che i rider sono lavoratori dipendenti e questo ha consentito l’apertura di un negoziato tra sindacati e governo, e, da novembre, con le stesse imprese. Un accordo che riconosce lo status di subordinazione è stato infine siglato a febbraio. Ma non affronta gli analoghi problemi di lavoratori di altre piattaforme, come nell’e-commerce.

La seconda sessione, “Organizzare i rider e i lavoratori di altre piattaforme”, ha spaziato su altri Paesi. Al di là della Brexit - ha spiegato Elena Crasta del Tuc britannico - i problemi sono analoghi in Gran Bretagna. Crasta ha illustrato quanto accaduto in seguito alla sentenza della Corte d’Appello di Londra sullo status dei driver Uber, riconosciuti come subordinati. Dopo la sentenza – che non riguarda i 130mila rider – si è avviato un percorso importante per il sindacato, e proprio nei giorni scorsi la categoria Gmb ha firmato un contratto collettivo con Uber.

Jack Campbell, del sindacato danese 3F, ha raccontato dell’esperienza di sindacalizzazione e contrattazione dei tremila rider che a Copenhagen consegnano cibo per la multinazionale finlandese Wolt. I rider hanno costituito una rete sindacale e organizzato un primo sciopero. Se Wolt non ha ancora dato segni di piegarsi alla mobilitazione, la campagna mediatica di rider e sindacato ha portato a firmare un accordo sullo status di dipendenti con Just Eat.

Più lontano un risultato per i driver parigini, organizzati dal sindacato indipendente Inv. Il loro portavoce Brahim Ben Ali – intervenuto dalla propria vettura – ha descritto le pesanti condizioni di lavoro, con turni fino a 18 ore giornaliere, e i tentativi, finora falliti, di avere un riconoscimento dello status di subordinazione da parte dei tribunali francesi. Brahim ha invitato tutti a mobilitarsi per richiedere una Direttiva europea in proposito.

La terza ed ultima sessione è stata dedicata a “L’organizzazione dal basso, i casi di Amazon in Europa”. Donato Pignatiello, della Filt Cgil Lombardia, ha presentato l’esperienza di organizzazione e di lotta in Amazon Italia che ha portato al riuscito sciopero di tutta la filiera del 22 aprile scorso. Lo sciopero ha aperto un confronto con Amazon, mediato dal ministro del Lavoro, Orlando. Ma l’azienda è ancora restia ad accettare il negoziato, così come ha testimoniato anche Ivo Mayer, rappresentante sindacale in un magazzino Amazon nella Repubblica Ceca.

Passi avanti, nell’organizzazione e nella lotta, si sono fatti in Germania, a partire dal primo sciopero, nel 2014, nel magazzino di Rheinsberg (Brandeburgo) dove sono occupati duemila lavoratori. Garau ha sottolineato che, di fronte a “un vincitore da tempo di guerra, che nel periodo del coronavirus ha aumentato i guadagni del 200% e i salari dell’1,2%”, servono norme e interventi dei governi per costringere Amazon a rispettare le leggi nazionali ed europee, a partire da quelle sui Cae.

I tempi stretti e il formato videoconferenza non hanno consentito un vero confronto né tra i relatori, né con i partecipanti. È speranza di tutti di poter tornare, il prossimo anno, a un appuntamento in presenza, per rinsaldare il confronto e lo scambio diretto. 

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