Vito Nocera, un’analisi fatta con classe - di Frida Nacinovich

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Vito Nocera, “Senza classe, la crisi di Napoli, le ferite operaie, la politica, la storia, il futuro”, Il Quaderno edizioni, pagine 144, euro 13. 

Un libro scritto bene, ‘Senza classe, la crisi di Napoli, le ferite operaie, la politica, la storia, il futuro’. Un sasso lanciato nello stagno, appunto, della politica, come lo definisce l’autore stesso. Vito Nocera, che è stato ed è ancora uno dei maggiori esponenti della sinistra napoletana, fra i fondatori di Democrazia Proletaria (1977) e Rifondazione Comunista (1991), in poche pagine ripercorre un pezzo di storia della gauche e del movimento operaio in Italia. A partire da un decennio segnato sì dal terrorismo, ma soprattutto da un avanzamento dell’intera società sul fronte dei diritti civili e sociali, delle tutele sul lavoro, della lotta di classe.

“Senza classe”, come segnala il felice titolo, veniamo privati di una leva fondamentale per cambiare i rapporti di forza fra chi per vivere deve lavorare, e chi sfrutta il lavoro delle donne e degli uomini per continuare ad arricchirsi. Datemi una leva e vi solleverò il mondo, diceva già più di duemila anni fa Archimede. Quella lotta di classe che negli ultimi quarant’anni è stata fatta dai ricchi, dai capitalisti, contro il resto dell’umanità.

Siamo debitori a Nocera, capace con intelligente caparbietà di continuare a riflettere lungo un percorso che inevitabilmente porta a misurarsi con i tanti nodi ancora non sciolti della sinistra italiana. Una sinistra che negli ultimi quindici anni ha vissuto un’involuzione così preoccupante da rischiare di farla finire nel fortunato programma di Federica Sciarelli ‘Chi l’ha visto?’. Utilizza testi fondamentali dei giorni nostri, Vito, come quelli del compianto Luciano Gallino, per scrivere che l’inchiesta operaia resta alla base di una sinistra che Nocera segue da mezzo secolo, dai “sottoscala di Torre del Greco, dove ancora oggi si lavorano i coralli a domicilio”. Pagine intense, che toccano il cuore anche di chi non c’era in quella Via Stella a Napoli, sede prima di Lotta Continua e poi di Democrazia Proletaria, dove la politica ribolliva, alimentata da lunghi, interminabili dibattiti che avevano come protagonista un’intera generazione di venti-trentenni alla conquista del pane e anche delle rose.

Sarà qui che muoverà i suoi primi passi, all’alba degli anni novanta, il partito della Rifondazione Comunista. Vito parla dell’esperienza politico - amministrativa di Antonio Bassolino, di un partito, il Pd, che ha abbandonato fin dal nome ogni riferimento a quella sinistra di cui pure, lo stesso ex sindaco di Napoli, insieme a tanti altri, fu parte integrante. Il libro va letto, ma, fra i tanti spunti di riflessione che offre, mi piace ricordare nel suo incipit un omaggio a uno dei padri della sociologia, Max Weber: la politica non è per tutti, va studiata, sia nella teoria che sul campo.

In poche pagine che si lasciano leggere di un fiato, senza il rischio di annoiarsi, si intrecciano il cammino personale di impegno politico e istituzionale nella realtà campana e napoletana, e le tribolazioni di una sinistra che all’inizio di questo secolo appariva rinnovata e pronta a farsi sentire ai quattro angoli del pianeta. L’anno e mezzo di pandemia ci ha dato l’ennesima dimostrazione che nei momenti di crisi il re è quasi sempre nudo, e non è un bello spettacolo.

Nocera, come molti di noi, è stato colpito dalle storie raccontate da Ken Loach, che non è solo un grande regista cinematografico, ma anche un attento osservatore della quotidianità del lavoro nei tempi in cui la lotta di classe viene usata con successo dai padroni contro tutti noi. La storia dell’Ilva di Bagnoli, quella della Fiat di Pomigliano d’Arco, la stessa parabola del Banco di Napoli, sono esempi paradigmatici di come le ragioni del capitale prevalgono oggi su quelle del lavoro. Ma il futuro non è scritto, ricorda Nocera, e ogni storia, come quella della sua Napoli, continua. Così come successe anche dopo il fallimento dei moti rivoluzionari di fine settecento a Napoli, che lasciarono però in eredità semi che sarebbero germogliati del secolo seguente.

“L’autore resta fedele - osserva Fausto Bertinotti nel suo commento - alla consegna gramsciana secondo la quale provare e riprovare è il compito del rivoluzionario”. “I Nocera - sottolinea Marco Ciriello nella sua prefazione - sono anche quelli che tengono in piedi quello straccio rosso, come diceva Pasolini, dietro il quale - un tempo - chi stava male, era disagiato o inesistente, trovava riparo, coscienza, dimensione”.

Infine mi piace ricordare un rivoluzionario dei giorni nostri, un uomo, un artista la cui scomparsa ci ha lasciato tutti un po’ più soli, Diego Armando Maradona. Che non solo per il suo paese, l’Argentina, non solo per la sua città d’adozione, Napoli, ma per l’intero pianeta ha rappresentato la quintessenza di un gioco talmente popolare da diventare politica. Per il Pibe de oro Nocera, appassionato di calcio e napoletano fino al midollo, ha un’autentica (e giustificata) venerazione. 

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