Quali politiche sociali per Milano? - di Ivan Lembo

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Le conseguenze economiche e sociali della pandemia hanno messo in evidenza le criticità del welfare milanese, con un esponenziale aumento delle diseguaglianze che già attraversavano la città. Alcuni elementi di contesto fanno sì che i prossimi mesi saranno molto importanti per il futuro del welfare cittadino, in particolare per misurare la capacità di mettere in campo politiche che sviluppino un modello di città inclusiva, in grado di rispondere ai bisogni delle persone più fragili.

In primo luogo, i progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza, e la definizione del nuovo triennio del “Piano di Zona”, rappresentano una grande opportunità di programmazione sociale territoriale. In secondo luogo, in autunno si eleggerà il nuovo sindaco della città e i temi delle vulnerabilità, delle periferie e delle condizioni di vita delle persone non potranno che essere al centro della discussione.

Da ultimo, è molto attivo il dibattito, determinato anche dalle ultime normative in materia, sul ruolo del pubblico della definizione e attuazione delle politiche sociali, e del rapporto tra questo e il privato sociale. In questo scenario è fondamentale provare a rispondere a due domande. La prima riguarda quali siano i temi e i contenuti sui quali si dovrebbero concentrare gli interventi. La seconda è il come queste misure si realizzano.

Per quanto concerne la prima domanda è importante mettere in evidenza tre temi trasversali ai singoli ambiti di intervento, ma che sono fondamentali per promuovere percorsi di autonomia dei soggetti più fragili, di fuoriuscita dalle condizioni di vulnerabilità e, più in generale, per ridurre le diseguaglianze nel territorio: il contrasto alla povertà, il welfare di prossimità, le politiche di promozione della salute attraverso una vera integrazione tra sociale e sanitario.

Il rapporto Istat sulla povertà, preceduto dall’analisi effettuata da Caritas, consegna dati drammatici, con un aumento elevato della povertà assoluta. Povertà che indice pesantemente sulla popolazione straniera, sui giovani, sulle famiglie con figli.

La povertà non ha solo una dimensione economica, è carenza di relazioni, esiguità di capitale sociale, fragilità delle condizioni di salute, ovvero una serie di fattori che, unitamente a reddito e patrimonio, influenzano pesantemente la qualità della vita. Quanto la disoccupazione, la precarietà, la diffusione del lavoro povero e del lavoro nero hanno inciso sul peggioramento delle condizioni di vita delle persone, a partire da quelle più deboli?

Non si può parlare di sociale senza mettere al centro delle politiche pubbliche il lavoro, la sua tutela e la sua dignità. Milano questo tema se lo deve porre con forza: non solo, come è giusto che sia, nel rafforzamento delle politiche attive e della formazione, ma anche nel provare a immaginare come si crea lavoro buono, dove e come fare gli investimenti e con quale vocazione territoriale. Nello stesso tempo, una “città dei 15 minuti”, riprendendo lo slogan nato dalla campagna elettorale della sindaca di Parigi, Hidalgo, e fatto proprio anche da Milano, non può essere sostenibile e inclusiva senza che vi sia una vera prossimità ai bisogni, che combatta le solitudini e renda le persone protagoniste. Nei quartieri sono necessari servizi territoriali, luoghi di aggregazione e socialità, che promuovano una vera cultura della salute e del benessere.

Per quanto riguarda la seconda domanda, ossia il come realizzare le politiche sociali, il ruolo della programmazione sociale territoriale è fondamentale. Si crede ancora nel ruolo della programmazione? Sono soprattutto le fasi di crisi che richiedono più responsabilità della politica, maggiore capacità di governo e una effettiva partecipazione dei soggetti sociali e della cittadinanza. Una programmazione che indichi una visione, che definisca gli interventi, che ricomponga risorse e esperienze in essere, che si dia strumenti di monitoraggio e valutazione.

Dentro questo quadro è necessario valorizzare il ruolo del pubblico, che va rafforzato e non ridotto, sia nella funzione di programmazione che di gestione dei servizi, e strutturato il rapporto tra pubblico e privato sociale, partendo da un assunto: non ci possono essere servizi di qualità, in grado di rispondere ai bisogni, senza un riconoscimento dei diritti e della dignità degli operatori sociali.

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