“Liberi fino alla fine”. La Cgil aderisce al referendum per l’eutanasia legale - di Sandro Gallittu

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L’Ufficio Nuovi Diritti nasce in Cgil all’inizio degli anni ’90, durante la segreteria di Bruno Trentin e coerentemente con l’idea che la ispirava, quella di un sindacato dei diritti e della persona che si affacciasse e dialogasse con la società nella sua complessità, non solo col mondo del lavoro. L’atto di nascita coincise con un caso di discriminazione per orientamento sessuale nel settore del credito, ma ben presto e poi negli anni l’ufficio assunse su di sé tutti i temi della laicità dello Stato e dell’autodeterminazione della persona.

In quest’ambito, la battaglia per la libera scelta nel fine vita ha sempre avuto un grande rilievo: fin dalla raccolta delle firme per la proposta di legge di iniziativa popolare “Liberi fino alla fine”, la nostra organizzazione ha sempre avuto un ruolo di primo piano, non soltanto attraverso l’ufficio Nuovi Diritti ma col coinvolgimento dell’intera confederazione. Non a caso Susanna Camusso, allora segretaria generale, fu uno dei volti della campagna mediatica di sostegno alla raccolta delle firme. Nel frattempo molte cose sono successe: l’approvazione della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento (cosiddetto testamento biologico) è stato un passaggio fondamentale nella crescita civile del nostro Paese, e anche in quell’occasione la nostra organizzazione si è spesa apertamente perché quell’iter legislativo trovasse compimento.

Ma quella legge non risolve un problema quanto mai urgente, la soluzione del quale viene continuamente sollecitata dalle persone che vivono sul proprio corpo quelle situazioni: Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Fabiano Antoniani sono solo alcuni dei nomi, quelli assurti agli onori della cronaca, di malati che chiedevano di poter cessare le sofferenze e la dipendenza dai macchinari salva-vita, accedendo al suicidio assistito e dunque all’eutanasia. La questione - sollevata durante il processo a Marco Cappato per l’aiuto al suicidio dato a Fabiano Antoniani - finì alla Corte Costituzionale che, in prima battuta nel 2018, dette un anno di tempo al Parlamento per correggere una norma risalente al codice fascista. E poi nel 2019, vista l’inerzia del legislatore, dichiarò l’incostituzionalità della norma che punisce l’aiuto al suicidio quando ricorrano determinate condizioni.

Ancora una volta il Parlamento ricevette la sollecitazione a legiferare in merito, colmando i vuoti legislativi. E ancora una volta, nel silenzio del legislatore, intervenne una Corte, quella di Massa, per dire che l’aiuto al suicidio non è punibile non soltanto quando la persona malata che chiede l’eutanasia dipenda per la sopravvivenza da un macchinario, ma anche nel caso in cui la dipendenza sia da farmaci salva-vita.

Ma si sa, le sentenze, sia pure passate in giudicato come in questo caso, non costituiscono norma valida erga omnes, e l’inerzia del Parlamento ha reso non più rinviabile la richiesta di referendum: questa infatti è l’ultima legislatura nella quale potrebbe essere discussa la proposta di legge di iniziativa popolare, dopodiché tutto dovrebbe ricominciare da capo. E allora ancora una volta la Cgil è a fianco della Associazione Luca Coscioni e del Comitato Referendario, e ha aderito pubblicamente alla campagna per la raccolta delle firme, dando così la possibilità alle Camere del Lavoro che vogliano mettere la propria struttura a disposizione della raccolta e dell’autenticazione delle firme di raccordarsi con i Comitati Locali.

C’è tempo fino a settembre per raccogliere 500mila firme. Nel caso contrario il nostro Paese rimarrà ancora una volta al palo, e rinuncerà a dotarsi di una legge laica, di civiltà, di rispetto per l’autodeterminazione delle persone anche in una fase, quella della fine della vita, in cui più forte è l’esigenza di decidere per se stesse e se stessi, senza condizionamenti impropri provenienti dalla religione, e senza che nessun altro soggetto, se non chi è titolare di quella singola esistenza, dica come deve essere gestita la vita (e conseguentemente la morte) delle altre persone.

Sarebbe stato un avvenimento da festeggiare se il Parlamento e lo Stato, facendosi forti dell’indicazione della Suprema Corte, avessero dimostrato maturità e laicità nel decidere senza farsi condizionare da valutazioni di tipo religioso, ascoltando invece la maggioranza delle cittadine e dei cittadini che - come dimostrato a più riprese da indagini demoscopiche - vogliono fortissimamente questa legge. Così purtroppo non è stato, e quindi non resta che firmare, confidando nella buona riuscita della campagna referendaria.

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