Monte dei Paschi, non si uccidono così anche i cavalli? - di Frida Nacinovich

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Non si uccidono così anche i cavalli? Viene in mente il gran film di Sydney Pollack ambientato ai tempi della grande depressione, nel vedere le sofferenze inflitte alle lavoratrici e ai lavoratori di quella che era la terza banca del paese. Certo, i dirigenti (ma non i lavoratori) di Rocca Salimbeni hanno grandi colpe nella caduta rovinosa dei conti della banca, a partire dalla sciagurata acquisizione di Antonveneta - senza analisi dei costi/benefici - nell’ormai lontano 2008. Ma dopo l’entrata del Tesoro nel capitale di Mps, pur tardiva, si poteva e doveva fare di più, per evitare l’attuale, tristissimo epilogo. Quello di un Monte mangiato letteralmente da Unicredit, colosso del settore che sta trattando con il governo Draghi per prendersi le parti migliori dell’istituto di credito senese. Scaricando sullo Stato, e cioè sui contribuenti, le sofferenze miliardarie. E soprattutto lasciando migliaia di dipendenti nella scomoda, triste condizione di venir considerati inutili, destinati a dover accettare, obtorto collo, prepensionamenti a raffica e trasferimenti.

Tante filiali della più antica banca del mondo, fondata a Siena nel 1472, sono state chiuse in questi anni, e tante altre se ne vogliono chiudere. Ma, come denunciano compatte tutte le organizzazioni sindacali del Monte, “che senso ha anticipare, alla vigilia di una possibile acquisizione, la chiusura di cinquanta sportelli? È forse un’iniziativa su commissione?”. A pensar male si fa peccato ma spesso ci s’azzecca, visto che il colosso guidato da Andrea Orcel sta trattando con il governo tenendo il coltello per il manico. Ennesimo paradosso, quello di una banca che impone condizioni allo Stato, di una storia dagli aspetti kafkiani.

Alla vigilia dello sciopero del 24 settembre, Alessandra Galuzzi, delegata Fisac Cgil, e impiegata in un’agenzia milanese della banca, a Gorgonzola, racconta: “Nemmeno quando amministratore delegato era Morelli, nel 2017-18, e dovette intervenire lo Stato per salvarci dal fallimento si respirava un’aria così pesante”. Unicredit ha nei fatti accettato di prendere in considerazione l’acquisizione solo di ‘parti selezionate’ del Monte dei Paschi, le più appetitose, per rafforzare la sua presenza in Toscana, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.

Galuzzi lavora al Monte dal 1991, trent’anni da testimone diretta dell’ascesa e caduta di una banca che a un certo punto era stata un unicum: l’unico istituto di credito controllato dalla collettività senese, con la Fondazione Mps partecipata dagli enti locali che deteneva il 51% delle azioni di Rocca Salimbeni. “I trasferimenti dei rapporti accesi alla clientela dovuti alle chiusure degli sportelli saranno piccoli, dai tre agli otto chilometri. Ciò nonostante, non sappiamo se tutti accetteranno, quindi rischiamo di perdere il ‘pacchetto clienti’ dei colleghi”. E questo è il vero piccolo tesoro di ogni banca.

In tempi di digitalizzazione sempre più accentuata, con l’home banking sulla cresta dell’onda, anche perché spinto dai vertici aziendali, situazioni del genere aggiungono sale sulla piaga. “In questi ultimi terribili anni - sottolinea la delegata sindacale - la reputazione del Monte è per forza di cose scemata: tanti nostri vecchi correntisti hanno avuto paura a restare con noi”. Galuzzi puntualizza poi un altro incontestabile e patologico dato di fatto: “La fusione con Unicredit è in pratica un’acquisizione a prezzi stracciati. Il Tesoro che ci controlla non ha studiato altre, possibili alternative per permettere alla banca di stabilizzarsi e ripartire su nuove basi”. Alternative che c’erano.

La vischiosità dell’operazione è tale che i suoi tempi del ‘closing’, pensati in origine come brevissimi, stanno slittando. “Intanto l’azienda ci mette del suo, con la cervellotica decisione di chiudere altre cinquanta filiali. Sembra quasi un ulteriore favore a Unicredit. L’emorragia occupazionale già sofferta rischia di aggravarsi ulteriormente, disperdendo esperienza e professionalità. Sui media gli esuberi crescono come panna montata, dall’iniziale piano industriale dell’ad Bastianini che prevedeva 2.500 uscite, siamo già arrivati a 7mila. Di 21mila che siamo vogliono dimezzarci, anche con meccanismi molto discutibili, ad esempio il contratto di rete - una sorta di alleanza con società terze - per distaccare in modalità flessibile e per tempi lunghi lavoratrici e lavoratori. Un vero e proprio ritorno alle esternalizzazioni, che potrebbe riguardare l’eccedenza di esuberi non gestibili con l’ammortizzatore sociale di settore”.

Galuzzi si preoccupa, non crede che dividere i lavoratori fra salvati e sommersi, a seconda delle regioni, porti lontano. “O ci si salva tutti insieme o non si salva nessuno”, ammonisce l’esperta sindacalista della Fisac Cgil, che osserva come le assemblee in vista dello sciopero siano state molto partecipate. “Dobbiamo tutelare la nostra storia e la nostra professionalità”, tira le somme. Perché non si può ballare all’infinito, come Jane Fonda, Gloria, e Michael Sarrazin, Robert, nel film di Pollack.

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