Il G20 a Roma, tra lancio di monetine e bla bla bla - di Monica Di Sisto

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Non poteva esserci immagine più calzante dei “20 Grandi” che lanciano la monetina dentro la Fontana di Trevi, come turisti per caso, per descrivere l’esito del vertice dei G20 di Roma, che ha concluso l’anno di presidenza italiana proiettando la comunità internazionale verso un fallimento annunciato nella Conferenza delle parti delle Nazioni Unite per il Clima Cop 26 di Glasgow, cominciata immediatamente dopo, ma anche nella Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio che si terrà a Ginevra a fine novembre.

Nonostante sia la società civile, riunita nel coordinamento C20 che riunisce oltre 550 organizzazioni dei 20 Paesi membri, per la prima volta insieme alle organizzazioni delle donne (W20), i giovani (Y20), i sindacati (L20), i think tank e le fondazioni (T20 e F20), ma anche le imprese (B20) avessero chiesto ai Grandi in un documento congiunto, a fronte di “una confluenza senza precedenti di crisi che richiede i più forti livelli di cooperazione multilaterale e solidarietà internazionale”, di essere “all’altezza del suo ruolo e garantire che la salute, il clima, la natura e le agende sociali vadano avanti insieme con l’ampiezza e l’urgenza richieste, nello spirito di ‘non lasciare indietro nessuno’”, la dichiarazione finale vantata dal premier italiano Mario Draghi come grande successo, si presenta come una compilation di vecchi impegni, per lo più rinviati avanti nel tempo, per l’ennesima volta, con la scusa della pandemia.

Per quanto riguarda la lotta ai cambiamenti climatici, nel loro comunicato finale i leader del G20 - Paesi responsabili di oltre il 75% delle emissioni globali di gas serra – “riconoscono lo stretto legame tra clima ed energia e si impegnano a ridurre l’intensità delle emissioni, nell’ambito degli sforzi di mitigazione, nel settore energetico per rispettare i tempi allineati con l’obiettivo della temperatura di Parigi”. La dichiarazione include anche l’impegno a “porre fine alla fornitura di finanziamenti pubblici internazionali per la realizzazione di nuovi impianti di produzione di energia dal carbone all’estero entro la fine del 2021”. Tuttavia non hanno trovato l’accordo per indicare alcuna data-limite per fermare i lavori già in corso, e per pensionare le vecchie centrali a carbone attualmente in servizio, incompatibili con il contenimento del riscaldamento globale sotto l’obiettivo di 1,5 gradi centigradi come richiesto dall’Accordo di Parigi cui, pure, i G20 confermavano di volersi attenere.

Anzi: dalla Cop26 il ministro italiano Roberto Cingolani ha dichiarato “impossibile” abbandonare la via del gas e rilanciato il nucleare, la cui ricerca applicativa e impianti, per tacer dei referendum che in Italia lo hanno bocciato nel 1987 e nel 2011, richiederebbero più anni e più soldi per essere finalizzati di quanti ce ne concedano la natura e le finanze finora mobilizzate.

Per quanto riguarda il finanziamento pubblico di queste azioni, i leader del G20 hanno anche approvato l’accordo fiscale globale Ocse/G20. Se questo dimostra che sarebbe stato possibile e realistico tassare i profitti globali delle grandi società, la prevista ridistribuzione degli utili è estremamente limitata e l’ambito di applicazione interesserà meno di 100 grandi multinazionali, generando appena 10 milioni di euro di entrate extra per 52 dei Paesi più poveri, a condizione che si azzerino tutte le tasse sui servizi digitali esistenti. L’aliquota minima fissata al 15% è una presa in giro: non argina la concorrenza fiscale e, al contrario, normalizza le giurisdizioni a bassa tassazione.

Per quanto riguarda il contrasto della pandemia, infine, il G20 ha dichiarato di voler vaccinare almeno il 40% della popolazione in tutti i Paesi entro la fine del 2021 e il 70% entro la metà del 2022, però non ha deciso nulla di concreto per aumentare la fornitura di vaccini nei Paesi più poveri e rimuovere gli attuali vincoli di approvvigionamento e finanziamento. Secondo l’Oms, alle condizioni attuali ben 82 Paesi rischiano di non raggiungere gli obiettivi dichiarati.

È abbastanza irrealistico che, senza obblighi specifici, le donazioni volontarie di dosi già promesse da oltre un anno e mai mantenute, le licenze volontarie, il supporto generico per il trasferimento di tecnologie mai realizzato da parte delle case farmaceutiche, pure a fronte di immensi investimenti pubblici, si realizzino per miracolo. Anzi: se la Commissione europea continua a negare, sola contro la maggior parte degli altri membri, che l’Organizzazione mondiale del commercio, in base alle sue regole di funzionamento ordinario, obblighi le aziende produttrici a liberare i brevetti di vaccini, dispositivi e ritrovati anti-Covid per permetterne un’adeguata produzione e distribuzione nel mondo, rischia di condannare al fallimento anche la ministeriale dell’Omc ormai alle porte. E che dovrebbe invece negli impegni dichiarati mettere il commercio al servizio di una ripresa post-pandemica più ampia, inclusiva e sostenibile possibile.

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