Scuola: tre anni senza rinnovo contrattuale e risposte inadeguate dalla legge di bilancio. Non resta che la mobilitazione - di Raffaele Miglietta

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Il contratto nazionale di lavoro del personale della scuola è scaduto ormai da tre anni (per la precisione due anni e undici mesi) e, nonostante l’enorme ritardo accumulato, la strada per il rinnovo appare ancora molto in salita. L’estremo ritardo non dipende tanto dalla complessa situazione che sta attraversando il Paese a causa dell’emergenza sanitaria, ma dal fatto che le risorse stanziate nelle leggi di bilancio relative al triennio contrattuale di interesse (ovvero 2019-2020-2021) sono ritenute unanimemente insufficienti e inadeguate da tutti i sindacati di categoria.

I finanziamenti disponibili a tutt’oggi consentirebbero un aumento stipendiale a regime del 3,78% (al netto dell’elemento perequativo, ovvero di quella voce retributiva inserita nell’ultimo contratto a favore dei salari più bassi e che adesso occorre necessariamente stabilizzare). Per docenti e Ata la percentuale indicata significherebbe un aumento medio mensile di circa 85 euro, una cifra molto lontana dalle aspettative della categoria che si è vista promettere da tutti i ministri e governi che si sono succeduti negli ultimi anni aumenti stipendiali che consentissero non solo di avvicinarsi alle retribuzioni dei colleghi europei (che sono mediamente più alte di oltre il 15%), ma anche a quelle degli altri lavoratori dei settori pubblici con equivalente titolo di studio. Il settore scuola, infatti, nell’ambito della Pubblica amministrazione è quello che presenta la più alta concentrazione di personale laureato (oltre il 50%), a cui però corrisponde la media retributiva più bassa di tutto il comparto pubblico.

Il rinnovo contrattuale avrebbe anche la funzione di valorizzare il ruolo sociale e l’importanza della scuola per tutto il Paese, riconoscendo l’impegno dimostrato in questi difficili mesi di pandemia dai docenti e dal personale tecnico-amministrativo. In questo ultimo anno e mezzo, infatti, è stata assicurata la continuità dell’attività scolastica e dell’azione educativa, in presenza come a distanza, nonostante le condizioni di lavoro e di sicurezza abbiano lasciato - e ancora lascino - molto a desiderare. In molte scuole si continua ad operare in condizioni critiche a causa del sovraffollamento delle classi o della inadeguatezza dei locali, per cui la circolazione del virus trova pochi ostacoli - specie tra gli alunni del primo ciclo che non possono vaccinarsi - nonostante il personale scolastico sia ormai completamente vaccinato.

Eppure lo scorso maggio era stato sottoscritto, tra il ministro dell’Istruzione per conto del presidente del Consiglio e i sindacati confederali, un apposito patto con l’impegno a risolvere le tante problematiche della scuola, e tra queste anche quella del riconoscimento e della valorizzazione economica del personale scolastico. Senonché la proposta di legge di bilancio appena varata dal governo sembra tradire ogni aspettativa, nel senso che le risorse messe in campo non consentono non solo di accorciare la distanza stipendiale rispetto ai colleghi europei, ma neanche di garantire quell’aumento medio a “tre cifre” che è alla base delle rivendicazioni della Flc Cgil. Senza contare che per i docenti si prefigura anche la reintroduzione di un sistema premiale e discrezionale che richiama quello tentato alcuni anni fa dal governo Renzi (il cosiddetto “bonus” docenti), che è stato già aspramente contrastato e battuto dalla categoria.

Risulta pertanto evidente la necessità di avviare quanto prima la mobilitazione dei lavoratori della scuola, che dovrà trovare il modo di confluire nell’iniziativa più generale che la Cgil sta definendo in questi giorni. La legge di bilancio che non dà risposte alla scuola, infatti, è la stessa su cui la Cgil ha già sollevato parecchie critiche su diversi temi di rilievo, dal fisco alle pensioni, in quanto le misure proposte non soddisfano affatto le esigenze del mondo del lavoro. Da qui l’urgenza di una mobilitazione generale, per contrastare e modificare una legge di bilancio dai contenuti regressivi e antipopolari.

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