Droghe: uscire dagli stereotipi diffusi dai media - di Denise Amerini

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Il 16 novembre scorso si è tenuta l’iniziativa, organizzata dall’area welfare della Confederazione, insieme a Collettiva, dal titolo ‘Droghe, cronaca di un tema controverso’. L’iniziativa vuole rispondere a come la stampa è tornata ad occuparsi di droghe, dopo i recenti fatti di cronaca che hanno visto coinvolti anche personaggi famosi, sempre con gli stessi toni scandalistici. Ma soprattutto vuole portare un contributo alla Conferenza nazionale sulle Droghe, finalmente convocata dopo dodici anni di assenza, ma che non pare destinata a produrre i cambiamenti che sarebbero necessari, perché i linguaggi che si usano non sono indifferenti, anche nella costruzione delle politiche.

Le parole sono sempre le stesse, da più dì quarant’anni: quelle che criminalizzano, emarginano, patologizzano i consumatori. Nella tematizzazione delle sostanze, come nel dibattito sulla legalizzazione della cannabis, si registra ancora oggi una distanza molto profonda fra mondo scientifico, operatori e stampa. I luoghi comuni si sprecano, in un trionfo di tunnel, fondo da toccare, perdizione, crimine, depravazione. I media tendono a declinare le storie attraverso categorie quali la devianza, il degrado.

Invece, se vogliamo essere credibili, soprattutto nei confronti dei giovani, dobbiamo dire le cose per quello che sono: la stragrande maggioranza degli studenti, per esempio, ha avuto esperienza di cannabis, sa perfettamente come funziona, sa che può esserci un consumo assolutamente occasionale e legato ad alcuni contesti. Dobbiamo fare informazione corretta per essere credibili, per essere ascoltati, creare consapevolezza sui rischi veri dei consumi di sostanze psicotrope, ed evitare che si pensi invece che le sostanze sono tutte uguali.

Le narrazioni che ci vengono fornite ben poco hanno a che vedere con le evidenze scientifiche, con le esperienze e le competenze degli operatori, con i mutamenti dei consumi e delle stesse sostanze. Si continua a parlare di droga al singolare, come se le sostanze fossero tutte davvero uguali, avessero tutti gli stessi effetti, gli stessi rischi.

La politica è complice, scegliendo di non affrontare il tema perché divisivo, ma, ancora più spesso, e non solo da destra, agitandolo in termini securitari, di decoro, di ordine pubblico, contribuendo così in maniera pesante alla criminalizzazione dei consumatori. Un esempio fra tanti: la recente morte di due ragazzi a Terni per un mix di metadone e alcool, che ha visto sul banco degli imputati comportamenti giovanili, la musica trap, ma, soprattutto, la gestione delle terapie sostitutive (“tossici in carico ai servizi che prendono il metadone…”) banalizzando quello che è un importante intervento di riduzione del danno. E, ovviamente, senza dire nulla dell’alcool: eppure è reato vendere alcool a minorenni.

Insomma è un po’ come quando si pensa che, per prevenire le morti da overdose il sabato sera, basti chiudere le discoteche, o che, per evitare che le persone vadano a farsi in alcuni luoghi, basti impedirne l’accesso: la recente chiusura, con tanto di articoli celebrativi e fotografi al seguito, del ‘Grottino’ di Tor Bella Monaca ha ottenuto solo che le persone si siano spostate altrove. O come quando si accusano gli operatori che fanno interventi di riduzione del danno nei luoghi di aggregazione giovanile, o ai rave, di favorire certi comportamenti, di essere favorevoli alla droga. O come quando si parla di ‘stanze del buco’ invece che di ‘luoghi per il consumo controllato’, facendo strumentalmente passare il messaggio che si tratti di luoghi dove chiunque possa andare a farsi in tutta tranquillità, senza nessun limite e nessuna regola, invece che di importanti presidi di salute, individuale perché impediscono le malattie infettive che si trasmettono con lo scambio di siringhe, e pubblica, perché evitano che le siringhe vengano abbandonate in giro. Questo solo per fare due esempi banali. Ma sono anche luoghi presidiati, dove i servizi possono entrare in contatto con persone altrimenti irraggiungibili, invisibili.

Abbiamo davvero bisogno di un grande lavoro culturale, di cambiare i nostri linguaggi, perché le parole sono importanti: possono avvicinare o allontanare, includere o escludere, costruire muri o ponti. Per questo è stato chiesto a giornalisti di diversa cultura e provenienza, di confrontarsi con studiosi, e operatori, e di partecipare ad una tavola rotonda che aveva lo scopo di mettere a tema la possibilità e la capacità di influenzare su base etico/valoriale, oltre che scientifica, sia l’opinione pubblica, sia le scelte politiche, e la pulsione a trattare le droghe con un pensiero stereotipato e mai aggiornato. Aggiornando invece la comunicazione, evitando i pericoli e le storture di una narrazione che insegue e fomenta le paure delle persone.

Il confronto è stato sicuramente interessante e ricco di spunti di riflessione.

(La registrazione dell’evento e disponibile sul sito di Collettiva: https://www.collettiva.it/copertine/welfare/2021/11/16/news/le_droghe_oltre_gli_stereotipi-1636783/)

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