Coordinamento nazionale: la sinistra sindacale e le radici di classe della Cgil - di Sinistra Sindacale

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Adispetto del medium freddo, la videoriunione del coordinamento nazionale di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale del 24 novembre è stata calda, appassionata, preoccupata, riflessiva e combattiva. Introdotta e conclusa dal referente nazionale Giacinto Botti, la riunione ha visto la partecipazione di oltre settanta compagne e compagni di tutta Italia e di tutte le categorie. Diciotto gli interventi, tra cui alcuni delegate e delegati, da Spi, Fillea, Filcams, Filctem, Lombardia, Veneto, Toscana, Umbria, Lazio, Puglia, Varese, Catania, Milano, Bat, Treviso, Firenze e Taranto, sperando di non dimenticare nessuno.

La relazione di Botti è partita dalla discussione e dalle conclusioni dell’assemblea generale della Cgil del 4 novembre, incentrata sulla risposta alla legge di bilancio, per noi “sbagliata”, per la sua continuità neoliberista a favore di mercato e privatizzazioni, non solo “inadeguata”. In quella riunione Lavoro Società ha spinto per un maggiore coerenza del giudizio politico su governo e manovra e della qualità della mobilitazione, anche con un ordine del giorno, poi ritirato, che chiedeva l’indizione dello sciopero generale. Eccesso di tatticismo – ha chiesto Botti - nel nostro comportamento?

Ma la preoccupazione più di fondo della relazione e degli interventi non è tanto sul ruolo della sinistra sindacale (“la Cgil ha bisogno di noi”, sintetizza efficacemente Montagni), quanto sul rischio di un ulteriore allontanamento della Cgil dalla sua rappresentanza. Se sono chiare le difficoltà – accentuate dalla distanza con i luoghi di lavoro dovuta alla pandemia – nello svolgimento delle assemblee e nel chiamare alla mobilitazione e allo sciopero (Bertoni, Giuliani, Greco, Antonelli, …) sono altrettanto evidenti i sintomi di crescente burocratizzazione della Cgil, di “corporativizzazione” nelle categorie, di una strisciante “cislizzazione” (Cajarelli) verso un sindacato più della tutela individuale, della bilateralità, di una “democrazia economica” alla tedesca (Tartaglia) che della contrattazione, del conflitto, lontano dal sindacato di classe per cui ci battiamo e neoconcertativo (Brotini).

È insostenibile lo iato tra dichiarazioni programmatiche, piattaforme e capacità di mobilitazione e di raggiungere risultati. Se l’orizzonte non si ferma alla legge di bilancio, in particolare sulle pensioni (Greco, Righetti, Rizzi), la Cgil pagherà più di tutti, nel rapporto con pensionate e pensionati, lavoratrici e lavoratori, non tanto l’assenza di reali risultati nei margini strettissimi di “adattamenti” alla finanziaria, quanto proprio il “non averci provato”. Né il valore del rapporto unitario, da tutti sottolineato, può costituire impedimento all’azione. Basti ricordare come fossimo soli, ma tutt’altro che isolati con i tre milioni al Circo Massimo sull’articolo 18 (Cajarelli) e come, dopo la “farsa” delle tre ore di sciopero sulla legge Fornero, soli abbiamo faticosamente rimontato la china della disaffezione della nostra base con l’opposizione al Jobs Act renziano, la raccolta di firme per i referendum e la legge di iniziativa popolare per un nuovo statuto dei lavoratori (Botti, Brotini, Montagni).

Le preoccupazioni su una “deriva” politico culturale, oltre che organizzativa (vedi i dati del tesseramento) si inseriscono in un quadro di vero e proprio allarme per la situazione economico-sociale e per la democrazia nel nostro Paese e non solo. Se qui siamo di fronte al governo di un “uomo solo al comando”, un banchiere tecnocrate (Botti) che “doma” partiti sempre più lontani da qualsiasi base popolare e incapaci, anche nel cosiddetto centro sinistra, di qualsiasi rappresentanza del mondo del lavoro (Cuomo), il problema più di fondo, in Europa e nell’Occidente, è il definitivo divorzio del capitalismo dalla democrazia (Brotini), che chiama ancor di più la Cgil a una collocazione strategica autonoma e di classe. E qui – anche nelle incertezze su Pnrr, legge di bilancio e mobilitazione – pesa il giudizio sbagliato sull’operazione Draghi, di cui non si è capito il segno presidenzialista, né la natura classista, pro mercato e grande finanza, dentro un’ulteriore riduzione dell’autonomia nazionale, secondo i dettami di grande capitale e tecnocrazie europei.

A questi temi si intreccia quello del ruolo della sinistra sindacale, anche nella prospettiva dell’Assemblea Organizzativa (Antonucci) e del Congresso. Unanime è la conferma del percorso e della collocazione “critica” di maggioranza di una sinistra sindacale organizzata, chiamata ad un nuovo radicamento e valorizzazione di delegate e delegati (Tonon, Longo, Marturano, Antonucci, Cuomo). Così come il riconoscimento della necessità di momenti di approfondimento sui temi generali e su contenuti e strumenti del nostro profilo di classe, a partire dal seminario nazionale della Filcams di fine febbraio (Antonelli). E con un forte richiamo (D’Ercole) ad un più radicale rinnovamento delle categorie di pensiero e delle interlocuzioni della Cgil e della nostra stessa area: i movimenti Lgbtq+, “Non una di meno”, l’ambientalismo, Fridays For Future.

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