Risorgiamo. Un nuovo modello di sviluppo nelle lotte e nelle proposte dei lavoratori della Gkn - di Piergiorgio Desantis

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Non si fermano le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici della Gkn. Il 30 novembre scorso è arrivata una nuova e prevedibile lettera di licenziamento della Gkn Driveline Firenze, ma rimane ancora aperta la questione del sito produttivo, stante la fumosità di alcune proposte di interesse da parte di investitori esterni fatte filtrare dall’advisor della stessa Gkn.

Al di là della disponibilità delle dichiarazioni da parte della viceministra del lavoro Todde, che si è mostrata possibilista sulla sospensione dei licenziamenti, la questione va ben al di là del sito toscano: sono coinvolte le centinaia di casi di delocalizzazioni in presenza di situazioni di crisi, o semplicemente di decisioni unilaterali dell’azienda di spostare il sito della produzione, chiudendolo in Italia.

Il governo era sortito in agosto con un pallido tentativo di disegno di legge cosiddetto “antidelocalizzazioni”. Si prevedevano multe risibili e l’inserimento in una “black list” dove le aziende che decidevano di delocalizzare non potevano accedere (ma solo per tre anni) a finanziamenti o incentivi pubblici. Tuttavia, non c’è rimasta alcuna traccia nel dibattito parlamentare, segno più che evidente dell’assenza di volontà politica.

Viceversa, di notevole interesse la proposta “vera” antidelocalizzazioni scritta da giuristi dei Giuristi Democratici, Consulta Giuridica Cgil, Comma 2, Telefono rosso ed Economisti solidali (Istituto Superiore di Sant’Anna) con gli operai Gkn di Campi. Tale proposta è stata presentata al Senato, come emendamento numero 85.0.11 alla legge di bilancio in discussione, dal senatore Matteo Mantero. Ora in commissione bilancio deve essere discussa.

Si tratta di una proposta nata dalla volontà dei lavoratori e dei sindacati che, uscendo dalla casamatta di gramsciana memoria, insorge, scompaginando (finalmente!) il dibattito politico. Alla genesi dell’emendamento presentato hanno contribuito in maniera originale e feconda anche reti volontarie e professionali, militanti e accademiche. Il passaggio parlamentare è necessario per rimettere in moto (anche qui finalmente) l’organo più importante della nostra Repubblica, che negli ultimi anni ha vissuto la sola funzione di ratifica dell’operato del governo.

La proposta rimette al centro la nozione di ‘piano’, insomma una specie di eresia economica in Italia, che prevede una prospettiva multilivello: si vuole garantire, in tal modo, la stabilità occupazionale e reddituale di tutti i lavoratori e le lavoratrici, compresi anche quelli degli appalti. Quest’ultima si articola in due opzioni: una prima che prevede la costruzione di un “Polo pubblico della mobilità sostenibile” in continuità con la produzione già esistente e una seconda, forse più lungimirante, che lancia la possibilità e, forse, la necessità di una riconversione dei siti produttivi coinvolti.

Sono decenni che in Italia era completamente assente una discussione di prospettiva di politica industriale intorno ad asset imprescindibili. Tra gli altri è molto importante quello dei trasporti e mobilità, che è comparto strategico e di innovazione in un contesto che continua ad essere globalizzato. Ecco perché, ancorché nel caso di bocciatura parlamentare, si è aperta una nuova pagina che necessita, come hanno fatto alla Gkn, di una nuova ‘democrazia economica’ (vedi Laura Pennacchi, Democrazia economica. Dalla pandemia a un nuovo umanesimo, Castelvecchi editore, 2021), ossia un nuovo sistema istituzionale capace di andare oltre la logica del mero profitto speculativo.

C’è bisogno di un rilancio e di una crescita che sia compatibile sia con i diritti dell’uomo che con quelli del pianeta Terra. È urgente ripensare i confini del mercato e tutti i beni che, viceversa, non sono mercatizzabili. Ecco perché, ancora una volta, insorgiamo.

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