Sciopero riuscito e piazze piene - di Giacinto Botti

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Lo sciopero è riuscito e le piazze si sono riempite di cittadini, di lavoratrici e di lavoratori, di pensionate e di pensionati, di studenti, di giovani e di donne, loro che più di altri stanno pagando la crisi di sistema. Nella piazze della protesta e della proposta, del bisogno di giustizia, di uguaglianza e buona occupazione, del riconoscimento del lavoro e del suo valore, si è materializzato, sentito e visto il Paese reale. Una giornata di lotta e di solidarietà, piazze colorate e determinate, piazze di unità di classe, nonostante tutto. Nonostante le difficili condizioni sociali e sanitarie, nonostante la scelta della Cisl di rompere l’unità sindacale. Il conflitto è il sale, la forza propulsiva e di cambiamento di ogni società democratica, lo sciopero un diritto costituzionale da esercitare dalla parte più debole della società, da chi non detiene poteri economici, finanziari e di casta.

Lo sciopero è riuscito e ha trovato consenso, approvazione e solidarietà ben più ampi di quanto ci dicono le stesse piazze. Nonostante l’odio di classe sparso da giorni, l’accanimento contro un diritto, il conformismo, la vigliaccheria, la stupidità, gli insulti e le menzogne che ci hanno accompagnati in queste settimane, da parte di una stampa illiberale e sempre più sotto controllo dei poteri finanziari ed economici; di partiti e politicanti della destra economica e sociale; di ex ministri e politici di partiti di governo; di una “sinistra” dispersa, lontana dal mondo del lavoro di ieri e di oggi, senza radici sociali e malata di governismo. Una sinistra che ripercorre gli stessi errori fatti con il governo Renzi, malata di potere e impregnata di un deleterio interclassismo. Lo sciopero è riuscito nonostante ex sindacalisti, economisti e giornalisti da strapazzo, che vengono usati per rilasciare dichiarazioni di cui dovrebbero vergognarsi. E’ un segnale che si stiamo incamminando verso un pericoloso regime autoritario e illiberale, verso un presidenzialismo che fa a pezzi la nostra Costituzione antifascista.

Lo sciopero è riuscito nonostante Confindustria e il suo presidente Bonomi, che dichiara la sua tristezza per la proclamazione dello sciopero mentre oggi, con il sorriso, afferma che l’astensione dal lavoro nelle aziende sue associate non supera il 5%. È l’ulteriore dimostrazione che Confindustria è sempre meno rappresentativa, e che il suo presidente è un marziano che non vede la realtà del sistema industriale del Paese, dello sfruttamento e dello schiavismo, del lavoro nero, dei salari da fame e della precarietà diffusa, che tolgono la possibilità a milioni di persone di prospettarsi una vita e un lavoro degni di una nazione civile. È il capitalismo rapace, provinciale, egoista, senza responsabilità sociale che, insieme ai partiti di governo, al presidente del consiglio liberista e dalla cultura mercantile, sta conducendo una vera lotta di classe su come indirizzare e utilizzare le ingenti risorse del Pnrr. Le piazze irrompono nello scontro politico e sociale in atto, chiedono al governo e ai partiti che lo sostengono, almeno a quelli che si definiscono democratici e di centrosinistra, di uscire dal palazzo, dai giochi di potere, dalle alchimie consociative e trasformiste. Aprono varchi nella coscienza del Paese, fanno saltare silenzi e conformismi, mettono in luce ipocrisie e mancanze. Rimettono al centro la condizione sociale, i livelli di vita e di lavoro di milioni di persone, di un pezzo di popolo colpevolmente non rappresentato dalla politica. È questo il momento del cambiamento, è questo il momento di imporre una prospettiva e un domani alternativo. Abbiamo vissuto e siamo stati protagonisti di una bella giornata di lotta, di solidarietà e di democrazia partecipata.

La manovra è sbagliata, espansiva forse per l’economia e una parte del Paese, ma regressiva e classista sul piano sociale, sul mondo del lavoro, sulla parte d’Italia che si impoverisce e vive fuori dal benessere, sui giovani precari, sulle donne discriminate nella società e nei luoghi di lavoro. Sulla gran parte dei pensionati che vivono con una pensione di sopravvivenza.

Noi possiamo solo ripartire da quelle piazze e dare continuità, forza, consapevolezza e partecipazione a una lotta per il futuro, a una visione generale e non corporativa di società. Una prospettiva che ridisegni i rapporti tra le classi, e costruisca un modello economico e sociale radicalmente alternativo all’attuale.

La strada è lunga e difficile ma per noi, per le future generazioni, per ciò che rappresentiamo come confederazione, come Cgil, possiamo solo percorrerla da protagonisti, insieme alla parte migliore della società. Con coerenza, e forti della nostra storia, della nostra autonomia e della nostra militanza.

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