Pace: nome femminile. 8 marzo 2022 - di Sara Ferdinandi

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Ancora oggi c’è chi, ostinatamente, continua a definirla “festa”. Ma è importante invece sottolineare la definizione di Giornata Mondiale delle Donne. Perché riporta alle lotte e alle conquiste sociali e politiche raggiunte. Ma anche alle tante battaglie ancora lunghe di oggi, per difenderle dagli attacchi contro i diritti conquistati, contro un sistema ancora bigotto e retrogrado che genera l’abominio delle spose bambine, per l’autodeterminazione femminile intellettuale, culturale e pacifista. Perché le donne da sempre sono contro la guerra. La guerra è roba da uomini, la pensano gli uomini, la praticano gli uomini, mentre le donne la rifuggono, come rifuggono ogni forma di violenza. Forse perché la combattono ogni giorno della loro vita, urlando in silenzio, sopportando sofferenze, dolore e disperazione, anche e soprattutto per i loro figli e per la loro dignità.

Oggi sono le donne ucraine, ma ancora prima le afghane, le turche, le palestinesi, le pakistane, le yemenite, le africane: le donne di tutto il mondo pagano sempre il prezzo umano, sociale, politico e culturale più alto delle guerre, forse per questo le rifuggono.

Ancora oggi risuona il grido disperato e straziante di allarme lanciato dalla regista afghana Sahraa Karimi, il 15 agosto 2021, quando i talebani entravano a Kabul e lei, per salvare la sua vita e la sua libertà, veniva costretta a lasciare il suo amato Paese, sotto gli occhi taciturni di quei governi che, di fatto, non avevano alzato un dito in nome di un fantomatico “accordo di pace”. In quel paese le donne e le bambine non hanno più vita: spogliate di ogni diritto, vendute come mogli infanti di maschi oppressori e misogini, rinchiuse ed escluse da ogni ambiente sociale ed educativo: la morte civile. Eppure non uccidono. Urlano in silenzio e fuggono, perché come diceva Christa Wolf “ …tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere!”.

Oggi più che mai questa Giornata è stata dedicata al rifiuto di tutte le guerre, perché la scelta sia quella di una neutralità attiva, del disarmo militare e soprattutto nucleare. Una minaccia, quella nucleare, che porterebbe alla distruzione del pianeta, alla distruzione di tutto. Perché, in fondo, non esistono guerre giuste e non c’è giustizia quando c’è morte!

Le donne di tutto il mondo porteranno sempre alto questo messaggio, con un vero e proprio cambiamento di paradigma, che parta dal linguaggio, dalla scelta delle parole, che diventi prioritaria in tutte le forme di comunicazione, d’istruzione, di cultura, di formazione. Un linguaggio di Pace che passi attraverso il rispetto, l’inclusione, l’accoglienza, la contaminazione interculturale, la giustizia sociale. E’ quel cambiamento che va costruito giorno per giorno, momento per momento, relazione per relazione: solo così si può sperare di porre fine anche alla violenza di genere, alla violenza domestica psicologica e fisica, a quella omofoba.

Lo sanno bene tutte le donne che le combattono quotidianamente, con le loro storie agghiaccianti, troppo spesso inascoltate: solo in Italia sono quasi 300 le donne vittime di femminicidio negli ultimi due anni. Uccise da uomini prepotenti, egoisti ed ‘amorali’, cioè senza amore e senza morale, che odiano, più di tutto, il coraggio e la determinazione di chi vuole salvare la propria vita e quella dei propri figli, e cerca di essere prima di tutto indipendente. Molte di loro, tante, troppe, avevano denunciato più volte il loro aguzzino: il coniuge, il compagno, spesso già ex.

Molto spesso, invece, non così pericoloso ma non meno ricattatore e vessatore è il datore di lavoro, oppure il responsabile, il dirigente, il collega. E troppo spesso il lavoro è l’arma di ricatto, il coltello dalla parte del manico, anche quando non c’è e quindi ribellarsi è più difficile, perché quando non si è autonome economicamente, il rischio più alto è la perdita dei figli.

Con l’associazionismo di genere (Casa Internazionale delle Donne, Udi, Lucha y Siesta, Non Una di Meno, Cooperativa Befree, per fare degli esempi) i passi avanti sono stati importanti, attraverso le battaglie vinte per il funzionamento dei consultori, per l’apertura di sportelli e centri antiviolenza, di case rifugio, per l’attivazione di telefoni rosa, tutte strutture che in molti casi hanno permesso tutele, protezione, sicurezza.

Ma non basta: ci vuole una volontà politica seria, mirata al cambiamento, che invece di abbattere i diritti e le leggi conquistati duramente con anni di lotte, come la 194 ad esempio, li difenda strenuamente migliorandone, semmai, l’applicazione e la funzionalità. Il vero cambiamento di paradigma passa da qui: “seminare” con nuove forme di comunicazione che includano un linguaggio di Pace, nuovi schemi educativi e culturali che insegnino il sentimento, la condivisione, la solidarietà, il rispetto.

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