Il 5 novembre a Roma per la Pace e il disarmo - di Giacinto Botti

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Finalmente il 5 novembre il popolo della Pace farà sentire la sua voce con una grande manifestazione attorno a parole d’ordine chiare: cessate il fuoco, subito negoziato. L’appello di convocazione contiene la condanna dell’invasione russa e richieste nette per la pace, per la messa al bando delle armi nucleari, contro l’aumento delle spese militari, e ha raccolto l’adesione di centinaia di associazioni, sindacati, movimenti, partiti.

La Cgil, tra i promotori della mobilitazione, sarà ancora protagonista, forte delle posizioni assunte contro l’invasione, per il sostegno al negoziato, contro l’invio delle armi e l’aumento delle spese militari. L’Italia ripudi la guerra nel rispetto della Costituzione antifascista, e l’Europa, prima di spegnere la luce, spenga la guerra.

È in atto un suicidio collettivo dentro a uno scontro geopolitico tra potenze imperialiste. La guerra causa morti, sofferenza, distruzione, odio e orrori; aumenta i profitti di pochi e riduce in miseria milioni di persone. Non ci sono i crimini di guerra, diceva Gino Strada, è la guerra stessa ad essere un crimine contro l’umanità.

Le conseguenze della guerra sono recessione e inflazione, carenza di energia e di materie prime, aumento delle bollette e dei prezzi dei generi alimentari, possibili chiusure di attività produttive, licenziamenti e un impoverimento generale.

Da questa crisi di sistema vogliamo uscire da sinistra, con un’altra visione e un altro progetto di paese e di modello di sviluppo, impedendo che a pagare siano ancora i più poveri, il mondo del lavoro, le giovani generazioni.

Non condividiamo le posizioni belliciste, come quelle del ministro uscente della guerra Guerini, che teorizza solo la risposta militare all’invasione e l’uso delle armi come deterrente e strumento per prevenire i conflitti, e rivendica la scelta di aumentare la spesa militare. E’ lo stesso ministro che si vantava dell’accordo economico, militare e industriale con l’Ungheria di Orban, con la collaborazione nell’addestramento delle truppe militari. Posizioni belliciste, da qualsiasi parte politica provengano, non in sintonia con il popolo della Pace, con la maggioranza degli italiani. E neppure con il Papa, che denuncia l’aumento delle spese militari e la guerra come una follia, e ha indicato le responsabilità della Russia come dell’Occidente e della Nato, senza alcuna equidistanza. Una Nato che non è un sistema difensivo di deterrenza delle guerre ma il suo contrario, come dimostrano i conflitti in ex Jugoslavia, Iraq, Libia, Afghanistan.

Saremo in piazza per la Pace, per fermare l’invio delle armi, per la riduzione delle spese militari e la riconversione delle fabbriche di armi, per un mondo multipolare all’insegna della coesione pacifica, fuori dall’unilateralismo euroatlantico, da false superiorità occidentali e da risorgenti nazionalismi. Saremo in piazza perché siamo di sinistra, pacifisti, donne e uomini militanti della Cgil.

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Il trentennio berlusconiano si chiude con la vittoria alle elezioni della trimurti inventata nel 1994 dal cavaliere, la coalizione tra Forza Italia, Lega Nord e Alleanza Nazionale, oggi Fratelli d’Italia. Complice il gigantesco conflitto di interessi che ha progressivamente portato il settore nevralgico della informazione e della comunicazione, soprattutto televisiva, ad operare a sostegno delle pulsioni più conservatrici del paese, questo periodo si chiude ancora con il successo della destra, incarnata oggi da Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Osserva Gaetano Lamanna sul manifesto: “Aldilà delle scaramucce sulla spartizione degli incarichi ministeriali, non c’è dubbio che siamo in presenza di uno spostamento culturale e politico profondo nella società italiana, di una ‘rivoluzione conservatrice’, che non significa ritorno al passato, ma il tentativo di dare un assetto nuovo al sistema di governo, rompendo gli equilibri istituzionali, economici e sociali costruiti durante il lungo ‘compromesso socialdemocratico’”.

L’obiettivo del nuovo governo è la trasformazione dell’Italia da costituzional-resistente in costituzional-presidenzialista. Accentuando al tempo stesso le spinte localiste care alla Lega – ma anche al Pd dei governatori Bonaccini e Giani – con quella “autonomia differenziata” che sarà esiziale per le fasce più povere della popolazione, e per lo stesso concetto di uguaglianza dei cittadini verso lo Stato.

Non cambieranno però le politiche liberiste degli ultimi ultimi trent’anni. “Il governo Meloni è in linea di continuità con quello precedente di Draghi sulle politiche infrastrutturali ed energetiche”, hanno subito denunciato i giovani di Fridays for Future ed Extinction Rebellion. E ben più del lessico usato per cambiare i nomi di alcuni ministeri, è allarmante che, in politica estera, sia Meloni che il nuovo ministro degli esteri Tajani abbiano subito ribadito fedeltà a Usa, Nato e Ucraina. Al partito della guerra.

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Alex Zanotelli: “Questi sono pazzi. Il 5 novembre tutti in piazza con le bandiere arcobaleno” - di Frida Nacinovich

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Ha una piccolissima casa nel rione Sanità Alex Zanotelli. Gli basta, perché con una passeggiata arriva sul lungomare di Napoli, in quello che resta uno dei luoghi più suggestivi del paese. D’altronde il missionario comboniano ha vissuto per dodici anni nella più grande baraccopoli del Kenya, e con le sue 84 primavere non ha tirato i remi in barca. Anzi, continua ad essere in prima linea contro le guerre e quello che le guerre portano con sé, a partire dal commercio degli armamenti che uccidono, devastano, affamano intere popolazioni.

Padre Alex, ci diamo appuntamento fin d’ora in piazza per il 5 novembre prossimo?
“Sarò in piazza, nessuno può tirarsi indietro in uno dei periodi più drammatici della storia recente. I distinguo non sono accettabili, sono assurdi. Serve un’adesione larga e popolare, senza bandiere se non quella della pace sotto cui dobbiamo stare tutti. In una situazione così grave voler fare la propria manifestazione, piazzare la propria bandiera, non ha senso. I partiti facciano il proprio mestiere. Se sono seri, ad esempio, scrivano una legge per non mandare armi. Serve un grande movimento popolare per la pace, non capirlo vuol dire rovinare tutto. Ho contestato anche De Luca qui in Campania, le manifestazioni non unitarie sono strumentali”.

Ma come è possibile che, nonostante si parli addirittura di armi nucleari, ci siano sempre dei distinguo tra le forze politiche?
“Lo ripeto, serve un’adesione larga e popolare. E nessuna bandiera di partito. Solo quella della pace. Basterebbe ricordare il 2003, quando migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare contro la sciagurata guerra in Iraq. Lo hanno fatto perché era giusto farlo. E allora non c’era la minaccia nucleare. Oggi invece c’è pure quella. Cavoli, se sia Putin che Zelensky dicono da tempo che c’è il pericolo che si ricorra al nucleare, e Biden parla addirittura della minaccia di un Armageddon, allora vuol dire che siamo in una situazione davvero drammatica. Nel dopoguerra, dopo l’uso radicalmente sbagliato che ne avevano fatto gli americani lanciando la bomba su Hiroshima, avevamo pensato tutti che non sarebbe mai stata più usata, e nessuno poteva prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto. Invece ci siamo, si parla di guerra nucleare. Non ci si può tirare indietro, è il momento di una reazione popolare. Ecco perché ho in mente grandissime manifestazioni, senza le bandiere dei partiti. Ci sia la bandiera della pace che domina su tutto”.

Si commerciano armi come fossero coriandoli, e da noi c’è chi ha avuto la bella pensata di portare da 25 a 38 miliardi la spesa militare. Diciamolo, è un mondo impazzito: come si fa ad arrivare alla pace quando sembra di essere alla mostra mercato globale degli armamenti? Il presidente partigiano, il più amato dagli italiani, chiedeva di svuotare gli arsenali e riempire i granai.
“Parole che riascoltate oggi fanno sognare. Purtroppo siamo davanti a una situazione spaventosa. Io non riesco a capire questa storia del mandare armi. Lo ripeto a tutti coloro che incontro: mandare armi vuol chiaramente dire far crescere, fare andare avanti, buttare benzina sul fuoco di una guerra pericolosissima. Se continua ad andare avanti, se per caso si ricorre alle armi nucleari, è la fine. È la fine della vita umana sul pianeta. È pazzia collettiva la nostra. Non riesco a capire come si possa continuare a percorrere questa strada. Dobbiamo assolutamente smettere di mandare armi. La cosa più grave però, che viene completamente nascosta, è che tutta questa guerra era già stata preparata. Sono otto anni che gli americani e gli inglesi addestrano, equipaggiano l’esercito ucraino. Alla fine è una guerra per procura quella russo-ucraina. E noi? Mandiamo altre armi? Ancora di più? Pazzia. È chiaro che Zelensky può resistere, continuare a resistere con le armi che gli forniscono gli Stati Uniti, gli inglesi, e anche noi stiamo dando una mano. L’ultima incredibile notizia è che rischiamo di mandare, con la firma di Giorgia Meloni, i missili che stiamo producendo con la Spagna. Ma siamo folli? È proprio un caso di pazzia collettiva il nostro”.

Che ne pensa del comportamento dei vari governi, e di quelle che dovrebbero essere le istituzioni sovranazionali come la commissione Ue?
“Una delle cose più sorprendenti è proprio l’incapacità politica dell’Europa. Quasi che l’Europa come entità politica non esistesse. E questo si è manifestato in maniera drammatica con la guerra russo-ucraina. Ma cavoli, ci portano la guerra in casa, non solo, ce la fanno pure fare anche a noi, e restiamo a guardare? Avremo anche altre conseguenze drammatiche, perché il carovita per tutti gli europei comincerà a correre sempre più. Perché dovremo dipendere sempre di più dagli Stati Uniti, per l’energia e anche tutto il resto. Sembra di essere davanti a una commedia, invece è un’immane tragedia la nostra cecità”.

Specialmente nei primi mesi di conflitto, i media italiani parlavano a una sola voce: guerra fino alla vittoria finale. Solo ora, con gran fatica, cominciano a farsi strada alcune riflessioni un po’ più sagge.
“Basta con questa ipocrisia, mi attacchino pure, così come ha fatto il Secolo XIX. Viviamo nell’ipocrisia, tutta la stampa mainstream continua a suonare la stessa canzone. Fa spavento una stampa così allineata, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. E non sono troppo migliori i social o la rete. Non c’è un’informazione seria. E se non c’è un’informazione seria non ci può essere neanche la democrazia. Non è accettabile. Io dico che per fortuna abbiamo un Papa che più che un Papa è un profeta. In questi lunghi mesi ci ha dato lezioni incredibili per aiutare a capire la follia della guerra. Mi sto sempre più convincendo che è l’unico leader politico mondiale che abbiamo in grado di ragionare, che mette la verità sul tavolo. Sono molto grato per questo, che almeno abbiamo la sua ispirazione. Papa Francesco ha una visione incredibile, anche per la crisi ecologica con il ‘Laudato Sii’. Mi rammarica che oggi, avendo un profeta come Papa, questo messaggio stia passando molto poco nelle comunità cristiane, nelle parrocchie”.

Tutti o quasi schierati per la guerra, pena essere accusati di ‘putinismo’. Poi però il popolo inizia a protestare, perché l’economia di guerra fa il solletico ai ricchi e manda ulteriormente in crisi i poveri, è la solita vecchia storia.
“Questo è il futuro che stiamo scegliendo. Allora bisognerebbe semplicemente guardare in faccia la realtà per dire basta, smettiamo, facciamola finita. È il momento di forzare un cessate il fuoco, da tutte le parti. Anche se nessuno lo vuole, né Putin, né Zelensky, né gli Stati Uniti. Questo è veramente grave. Purtroppo l’Onu è morta. È come se non ci fosse. È la Nato che decide tutto, ecco perché siamo in una situazione tragica. Io continuo a sottolineare che la guerra, le armi e tutto questo armarsi non fa altro che incidere sempre di più sull’ecosistema. Non è solo lo stile di vita del 10% più ricco del mondo, è anche la guerra, sono anche le armi. Il fatto che chi usa più carbone negli Stati Uniti sia il Pentagono, la dice lunga. Vogliamo proprio suicidarci? Siamo su un precipizio, sull’orlo di una guerra atomica, l’uomo deve scegliere. La paura del futuro, perché qui ci sta saltando tutto. Non è questione di una cosa o dell’altra, è la vita stessa su questo pianeta che è in ballo. Ci saranno sempre più profughi, li chiamo profughi e non migranti perché non sarebbe giusto, visto che scappano dalla guerra. Questo sistema economico finanziario, che permette al 10% della popolazione mondiale di consumare da sola il 90% dei beni, e lascia agli altri le briciole, crea la miseria. Così per mantenere i nostri privilegi ci armiamo fino ai denti, e facciamo guerre da tutte le parti. Le Monde Diplomatique cita 166 luoghi di conflitto, di guerra, nel pianeta. Dalle guerre devi scappare, e tutto questo pesa sull’ecosistema. Anche dai cambiamenti climatici devi scappare. Se ci sono 50 gradi in Sicilia, immagina quella che deve essere la zona sahariana in Africa”.

Padre Alex, lei il 5 novembre sarà in piazza. Sarebbe bello se ci fossero centinaia di migliaia di persone, tutte sotto un’immensa bandiera arcobaleno. Non trova?
“Siamo tutti chiamati a scendere in piazza. Questa è una manifestazione senza bandiere. Devono esserci le bandiere della pace, dispiegate da ogni parte. Chiunque può aderire, non è di partito, di una parte. Vogliamo che sia una vera e propria manifestazione nazionale popolare”.

Verso il 5 novembre. Mobilitazioni in 100 città italiane - di Sergio Bassoli

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In preparazione della grande manifestazione nazionale, tra il 20 e il 23 ottobre centinaia di mobilitazionI decentrate promosse dalla coalizione “Europe for Peace”. 

Otto mesi di guerra dentro l’Europa sono una realtà inaccettabile. Se a questo aggiungiamo il rischio di una guerra nucleare, ci domandiamo se questa non è pura follia.

L’invasione e l’aggressione dell’esercito russo al territorio ucraino hanno messo a nudo le debolezze, se non l’assenza di una visione politica da parte delle istituzioni europee e, soprattutto, dei suoi Stati membri incapaci di gestire per le vie politiche, economiche, commerciali, diplomatiche le relazioni di buon vicinato e di integrazione regionale con l’ex-potenza sovietica.

Dal 1991, anno di scioglimento dell’Unione sovietica e nascita della Comunità di Stati Indipendenti, l’Occidente ha privilegiato gli affari e le forniture di materie prime per alimentare la propria economia e i consumi, stringendo accordi e stipulando contratti con le nuove oligarchie, piuttosto che investire nella trasformazione di quella società verso una la democrazia e lo stato di diritto. Errori che oggi paghiamo tutti, gli ucraini in quanto popolazione vittima di una brutale aggressione ed occupazione militare, noi tutti per essere entrati senza alcuna preparazione in una economia di guerra.

Per il movimento della pace e del disarmo, di cui la Cgil è parte, è stato chiaro sin dal primo giorno dell’invasione che la priorità era e rimane l’assistenza alla popolazione ucraina, e che non esiste una “guerra giusta” che possa giustificare il costo di vite umane, violenze, stupri, distruzioni.

L’assenza di un’azione politica autorevole per il cessate il fuoco, mettendo al tavolo del negoziato Russia e Ucraina, ha quindi determinato l’escalation del conflitto militare, arrivando a paventare l’uso dell’arma nucleare o dell’incidente nucleare. La cui sola minaccia di per sé potrebbe essere considerata già come un crimine contro l’umanità.

Ed è oramai chiaro a tutti che la posta in palio non è l’Ucraina, e che lo scontro non è tra un esercito invasore, quello russo, ed uno Stato che si difende con ogni mezzo, quello ucraino. Lo scontro è tra potenze militari nucleari i cui disegni geopolitici aspirano a controllare intere regioni, se non l’intero pianeta e le sue risorse. Una guerra giocata su diversi piani, militare, tecnologico, economico senza più esclusione di colpi, dove il sistema multilaterale e delle Nazioni Unite è messo ai margini, irrilevante, escluso.

Una strada, questa che va fermata perché foriera di sicuri disastri e di continue crisi. Lo si vede e lo si subisce nella nostra società con il caro-bollette, l’inflazione, l’arretramento del processo di transizione ecologica, l’aumento delle povertà, le aziende in crisi e la perdita di posti di lavoro.

Per queste ragioni siamo chiamati a scendere in piazza a mobilitarci insieme, unendo le tante diversità della nostra società per fermare questa corsa al riarmo e la follia della minaccia nucleare.

Dalle giornate di mobilitazione diffusa del fine settimana scorso (20-23 ottobre), abbiamo visto come le piazze di 100 città hanno risposto all’appello della coalizione ‘Europe for Peace’, una rete che ha unito associazioni, sindacati, laici e cattolici, per chiedere il cessate il fuoco subito, l’impegno degli Stati per la soluzione politica attraverso il negoziato e rilanciando il ruolo dell’Onu, unica entità terza, legittimata a difendere e garantire sicurezza, diritti umani, benessere per tutte le persone e tutte le popolazioni.

Una mobilitazione decentrata che ha preparato quella che sarà la grande manifestazione nazionale per la pace convocata per il 5 novembre prossimo a Roma, con una piattaforma condivisa da Cgil, Cisl, Uil e da un ampissimo arco di associazioni, che partirà da piazza Repubblica per attraversare le vie della capitale e raggiungere piazza San Giovanni in Laterano. Sarà questo un messaggio forte e chiaro alle nostre istituzioni affinché assumano l’agenda della pace che il popolo italiano chiede a gran voce.

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