Mai come in questa occasione il sistema elettorale britannico ha dimostrato di poter deformare le reali intenzioni degli elettori. Il Partito Laburista ha ottenuto il 33,7% dei voti conquistando in questo modo 411 seggi, pari al 63,2% di tutti quelli disponibili alla Camera dei Comuni di Londra.
Sotto la guida di Keir Starmer, che ha riportato il laburismo su una linea centrista ispirata a quella perseguita da Tony Blair, ma senza il carisma e l’impronta modernizzatrice del suo predecessore, lo storico partito britannico ottiene 600mila voti in meno di quelli raccolti da Jeremy Corbin nel 2019.
Questa volta la destra è stata penalizzata dagli scarsi successi ottenuti con la Brexit, che sembra aver indebolito la struttura economica del Paese, dai permanenti conflitti interni, e dalla manifesta incapacità di molti dei suoi massimi esponenti. Il voto conservatore è stato diviso dalla irruzione del Reform Party xenofobo di Nigel Farage che ha ottenuto il 14% dei voti, favorendo così l’elezione di numerosi candidati laburisti. Gli inviti della stampa conservatrice al “voto utile” hanno trovato uno scarso ascolto, in un settore di elettorato che si è andato via via radicalizzando.
Gli elettori britannici si sono dimostrati tutt’altro che convinti ed entusiasti delle garanzie di “stabilità” promesse da Starmer e da uno slogan di “cambiamento” agitato per coprire l’assenza di impegni reali a modificare le classiche politiche della destra sul bilancio, il fisco, le privatizzazioni e gli interventi a favore del “business”.
Quando Keir Starmer, dalle giovanili simpatie trotskiste, ha vinto le elezioni interne al Labour per prendere il posto di Corbyn, aveva promesso di mantenerne molte delle politiche più progressiste. In realtà ha iniziato una caccia interna per rimuovere tutti gli esponenti legati alla sinistra fino all’esclusione, con un pretesto, dello stesso Corbyn dalle file del partito. Un atto tanto politicamente significativo per chi lo ha compiuto quanto disonorevole.
L’operazione interna di taglio maccartista non è riuscita a cancellare del tutto la presenza di candidati collocati nell’ala sinistra del partito, ma ha consentito una completa rivisitazione del programma politico. Starmer non ha promesso quasi nulla agli elettori se non una gestione meno turbolenta di quella dei conservatori e una maggiore professionalità nella conduzione della politica governativa. L’unico impegno di un qualche rilievo è stato l’abbandono dell’idea di deportare i richiedenti asilo in Ruanda, e questo effettivamente l’ha mantenuto anche se non preannuncia un vero cambiamento in tema di immigrazione.
La Gran Bretagna ha accumulato negli ultimi decenni una quantità di problemi economici e sociali. Povertà e degrado di estese zone del Paese (ben rappresentate dai film di Ken Loach), declino dei servizi pubblici, in particolare il celebrato Sistema Sanitario Nazionale (Nhs), mala gestione di quelli che sono stati privatizzati e così via.
La vita sociale britannica è stata attraversata da numerosi scioperi e conflitti che non hanno però trovato una vera rappresentanza nel sistema politico, anche se dal voto è emerso un desiderio diffuso di trovare un’alternativa al moderatismo di Starmer. Lo si è visto nel successo dei Verdi, che hanno più che raddoppiato i voti e ottenuto quasi due milioni di suffragi. Un partito che in Gran Bretagna è decisamente orientato a sinistra. Come anche nel successo di diversi candidati indipendenti che si sono presentati contro la politica dei laburisti di sostegno all’aggressione israeliana alla striscia di Gaza. diversi di loro sono stati eletti.
Tra questi un risultato straordinario lo ha ottenuto Jeremy Corbyn, che nel suo storico collegio di Islington North è stato confermato con oltre 7mila voti di vantaggio sul candidato ufficiale laburista, nonostante l’impegno che ha messo l’apparato del partito per sconfiggerlo.
Per Keir Starmer e la sua politica di “appeasement”, più che di soluzione dei problemi sociali che scuotono la Gran Bretagna, le incognite sono molte. L’elettorato, ben lungi dal convergere entusiasticamente al centro, come vorrebbe la rappresentazione mediatica diffusa anche in Italia, si è disperso in direzioni diverse e anche opposte. Una parte consistente si è indirizzata verso l’astensione, un’altra si è radicalizzata a destra, e una terza ha cercato un’alternativa a sinistra.
Non è detto comunque che la maggioranza conquistata dal Labour sia sufficiente a governare una fase che si prevede comunque turbolenta.