Alla fine, dopo aver tergiversato per più di due mesi, in accordo con Marine Le Pen, Emmanuel Macron ha dato l’incarico di primo ministro a Michel Barnier, un euro-tecnocrate di destra. I due perdenti delle elezioni legislative, i gollisti e la compagine presidenziale, si sono messi d’accordo, non senza contrasti, sui nomi dei ministri, e l’inquilino dell’Eliseo ha potuto nominare i membri di un esecutivo fragile e a tempo, sottoposto alla vigilanza di Le Pen e Jordan Bardella.
I dirigenti del Rassemblement national (Rn), dopo aver scartato diversi candidati all’incarico di premier, hanno dato il via libera all’ex-commissario europeo, noto per le sue posizioni liberiste, antimigranti e contro i diritti degli omosessuali, promettendo, sulla base delle scelte concrete del governo Barnier, di non attivare una mozione di censura.
La costituzione della Quinta Repubblica prevede, infatti, che sia il presidente della Repubblica a nominare il governo che non necessita della fiducia dell’Assemblea nazionale, la quale tuttavia può censurare l’esecutivo costringendolo alle dimissioni. Ma per raggiungere il quorum serve la convergenza sulla medesima mozione di censura di tutte le opposizioni.
Il primo scoglio che il governo Barnier dovrà affrontare è rappresentato dal budget 2025, per il quale si profilano ulteriori tagli alle spese sociali dopo la procedura per deficit eccessivo aperta da Bruxelles nei confronti della Francia, e dopo l’altolà dei macroniani ad ogni ipotesi di aumento delle imposte sui più ricchi.
In sostanza, il rifiuto di Macron di accettare il responso delle urne e di nominare Lucie Castets primo ministro come indicato dal Nouveau Front Populaire (Nfp) ha curvato in senso ancora più autoritario la prassi istituzionale della V Repubblica. Il presidente, rifiutando l’esito della consultazione elettorale, vuole salvaguardare tutte le misure pro-business del suo trascorso settennato, a partire dall’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni, imposto per decreto senza l’avallo del Parlamento.
Per i liberisti i risultati elettorali hanno un’importanza solo relativa (ricordiamoci la formula di Draghi sul “pilota automatico” che guida la politica dei paesi Ue e l’intervento della Troika in Grecia). Il Rn risulta utile ai loro scopi, in quanto indirizza la rabbia sociale verso i francesi di origine straniera dividendo i ceti popolari.
È la scelta di accentuare, in risposta alla crisi di regime della V Repubblica, la guerra civile a bassa intensità che si è vista all’opera nella feroce repressione dei gilets jaunes, delle rivolte delle banlieue, e delle altre mobilitazioni popolari negli ultimi anni.
NFP: alleanza solo elettorale o vero fronte popolare?
Questa deriva istituzionale autoritaria mette in difficoltà la sinistra, pur vincente alle elezioni. Sono state indette manifestazioni di protesta da parte di associazioni studentesche e da tre dei partiti del Nfp (assente il Partito socialista) per il 7 ed il 21 settembre; per il primo ottobre la Cgt e altre sigle sindacali hanno indetto uno sciopero sulla base di rivendicazioni sociali che riecheggiano il programma del Nfp. Tutte iniziative che potranno difficilmente rovesciare il tavolo istituzionale.
La France Insoumise ha avviato una procedura per la destituzione del presidente che non sembra però avere i numeri in Parlamento. Una parte significativa dei socialisti mal sopporta l’alleanza con gli insoumis ed auspica un accordo con Macron; altri a sinistra mettono in discussione la “strategia del quarto blocco” (gli astensionisti) di Jean-Luc Mélenchon, volta a portare al voto i giovani e gli abitanti delle periferie, accusando tale strategia di trascurare il recupero dei ceti popolari che votano Rn.
Servirebbe che il Nfp da alleanza elettorale diventasse un vero movimento di massa. Secondo il filosofo Etienne Balibar, il Nuovo Fronte Popolare è attualmente sospeso tra le due formule, ma per passare dalla difensiva all’offensiva la Gauche deve ritrovare, tramite “assemblee” nei territori, il suo “popolo” costituito da masse eterogenee che si sono mobilitate massicciamente negli anni: la nuit debout (“la notte in piedi” contro il Jobs act francese - 2016); i gilets jaunes (2018-2019); la protesta degli operatori sanitari (periodo del Covid-19); le periodiche rivolte delle periferie (l’ultima dopo l’uccisione da parte della polizia del giovane Nahel Merzouk – 2023); scioperi e manifestazioni fiume di milioni di persone contro la riforma delle pensioni (gennaio-marzo 2023); le mobilitazioni degli ecologisti contro i mega-bacini dell’agroindustria e i movimenti femministi.
Dalla crisi della V Repubblica, conclude Balibar, si potrà uscire da sinistra solo se le strategie elettorali e istituzionali dei partiti si coniugheranno con le iniziative della cittadinanza attiva nel costituire dall’alto e dal basso un vero “Fronte Popolare”.