Marina Pivetta, la politica e la professione dalla parte delle donne - di Alfio Nicotra

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Marina Pivetta – scomparsa pochi giorni fa - è stata una giornalista e una militante straordinaria. Basta scorrere i ricordi pubblicati sul sito on line “il Paese delle donne” per capire il peso politico, umano e culturale che ha rivestito nella storia del movimento femminista italiano.

Veneziana, figlia di una famiglia di artisti, si trasferì con suo marito Stefano Semenzato nel 1974 a Roma. In quei tempi si faceva così: il partito Avanguardia Operaia e il suo giornale “Il Quotidiano dei Lavoratori” ‘ordinavano’, e tu dovevi prendere la valigia e trasferirti. La sede principale della redazione del “Qdl” rimaneva a Milano, quella di Roma era semmai un “avamposto”, un luogo obbligato perché da lì passava tutta la politica istituzionale. Ma, come si addice a una militante rivoluzionaria e creativa come era Marina, a Roma la troviamo subito protagonista di Radio Città Futura e Radio Donna, pronta a dare voce e spazio al fertile e impetuoso movimento femminista romano.

Il primo ricordo che ho di Marina mi è rimasto sempre impresso. Era un’assemblea nazionale di Democrazia proletaria, qualche tempo dopo la disfatta di Nuova Sinistra Unita. Ricordo che era scoppiata una discussione vivace, troppo pesante, in cui Marina e Stefano (ma credo anche Francesco Bottaccioli) erano stati presi di mira dal gruppo milanese del partito per la gestione del Quotidiano dei Lavoratori. Di quella discussione ricordo solo le sue lacrime che erano un misto di rabbia e di rassegnazione, e segnalavano drammaticamente un modo brutale e molto maschile di condurre lo scontro interno. Avevo appena 18 anni, ero studente venuto da Firenze a capire se c’era un futuro per una forza come Dp, espulsa dalle aule parlamentari e sulla cui capacità di sopravvivenza nessuno avrebbe scommesso un centesimo. Quelle lacrime mi colpirono, erano il segno di un partito combattivo ma inesorabilmente maschile e che Marina proverà ad “educare” al femminismo anche con la straordinaria esperienza del “Quotidiano Donna”.

“Mentre un’intera area politica si stava sbriciolando – scrive di quegli anni Anna Picciolini - mentre si logoravano i rapporti politici fra compagni, si rafforzava il rapporto fra noi, e con altre compagne con cui avevamo condiviso quell’esperienza. Marina diceva, citando De André, che i nostri compagni stavano ‘giocando a palla con il loro cervello’ mentre alcune di noi cercavamo di farlo funzionare al massimo per affrontare i problemi, per gestire i conflitti in maniera non distruttiva”.

Anche per questo Marina continuò a seguire con discrezione le vicende di Dp – Stefano fu una delle colonne portanti negli anni della “traversata nel deserto” dal 1980 in poi – ma in quelle lacrime c’era anche una sorta di resa all’irriformabilità di un determinato modo di far politica.

“La politica in cui credeva Marina – scrive di lei Zina Crocè - era quella delle grandi idee, le idee belle, quelle da tradurre in progetti di vita per la crescita dell’umanità, nell’uguaglianza tra uomini e donne, nella complementarietà dei generi. Lei credeva in quello che faceva, ma la sua intelligenza profonda la portava a sapersi mettere in discussione, e non per incertezza, ma per desiderio di ampiezza di ‘sguardo’. Era sempre pacata, nonostante fosse emotiva. E comunque non andava mai fuori dalle righe”.

Quando Stefano, diversi anni dopo – nel 1987 – si prese la responsabilità di chiedermi di dargli una mano al Dipartimento Pace di Dp proponendomi di trasferirmi da Firenze a Roma, Marina e la loro figlia Paoletta diventarono per me quasi una seconda famiglia.

Marina raccontò le lotte femministe, mise insieme quelle esperienze in decine di forum, ne fu protagonista di primo piano. Poi l’ingresso in Rai, e anche qui condusse trasmissioni sul movimento femminista, sulle battaglie per una legge contro la violenza sessuale, contro le discriminazioni e il sessismo.

Ricordo anche i suoi sorrisi, quelle conversazioni complici dove domandavo come stava Stefano e sulla sua decisione (di Stefano intendo) di non voler più parlare degli anni di Democrazia proletaria, sicuramente anni felici ma fatti anche di dolorose rotture. La scelta di Stefano di ritirarsi nella bellissima Castelluccio, una frazione di Porretta Terme nell’appenino tosco-emiliano, rendeva di nuovo Marina “pendolare” con Roma, dove invece continuava a vivere la loro figlia Paola.

È nella casa rossa nella quiete del bosco di Castelluccio, sotto la pioggia, che a Marina è stato tributato, in una cerimonia laica, l’ultimo saluto. Alla Casa internazionale delle Donne è previsto nelle settimane prossime un ricordo collettivo, organizzato dalle sue compagne di sempre.

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