Stato di calamità climatica permanente - di Riccardo Chiari

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Quando cadono fra i 100 e i 180 millimetri di acqua per metro quadrato nel giro di poche ore, con “piogge mai così forti da almeno 50 anni”, come hanno certificato i meteorologi, non è facile trovare chiavi di lettura adeguate all'ennesima alluvione che questa volta ha sconvolto la Piana centrale toscana.

Al tempo stesso non può non essere sottolineata l'analisi complessiva del Wwf, di fronte ad una vera e propria escalation di alluvioni: “È sempre più evidente che il nostro Paese si trovi in uno stato di calamità climatica permanente, sottovalutato per anni dalla politica. Ormai ogni alluvione è un bollettino nel quale siamo costretti a contare vittime, dispersi e ingenti danni alle comunità e alla nostra economia. La fragilità del nostro territorio, unita al consumo di suolo e a una cementificazione che continua a correre, oltre che alla riduzione degli spazi naturali dei fiumi, rendono sempre più grave l’emergenza generata dagli impatti della crisi climatica”. Una crisi climatica che è sotto gli occhi di tutte e tutti, ma non di un governo che ha al suo interno forti componenti negazioniste.

 

Lo stesso negazionismo, a ben vedere, che le associazioni e i comitati ambientalisti toscani imputano ai governi locali: “È vero che queste tempeste non sono assolutamente prevedibili per intensità e luogo di impatto – osservano - ma se si aiuta ad aumentare i rischi, facendo il contrario di quello che la logica, la precauzione e i piani di bacino prevedono, non possiamo poi lamentarci dei danni che ne derivano. Esistono leggi, promesse, pronunciamenti ufficiali sul consumo zero del suolo, evitando così ulteriori impermeabilizzazioni ed inquinamenti. Ma poi chi amministra, a partire dalla giunta regionale a quella metropolitana di Firenze, si comporta in maniera opposta”. Un' esempio? II progetto del nuovo aeroporto intercontinentale fiorentino, proprio all'imbocco della Piana, “che prevede una ulteriore impermeabilizzazione di suoli per oltre 140 ettari, oltre ai 100 esistenti, moltiplicando i già evidenti rischi idrogeologici”. 

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