Per l’autodeterminazione del popolo palestinese - di Giuditta Brattini

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Alle radici del conflitto israelo-palestinese. Guerre, occupazione dei territori palestinesi, rifugiati, mancato rispetto delle Risoluzioni Onu.

Con la Risoluzione Onu n. 181 del 1948 è stata soddisfatta la pressione sionista che chiedeva la creazione di uno Stato per gli ebrei. Si è sancita così la spartizione del territorio della Palestina storica attribuendo il 56% del territorio a 600mila ebrei e il rimanente 44% a 1.250.000 Palestinesi, e Gerusalemme sotto tutela internazionale. Lo storico israeliano Ilan Pappe, riferendosi ai fatti successivi alla Risoluzione Onu 181, parla di pulizia etnica. Si è attuata l’espulsione di 700mila palestinesi dalla loro terra e dalle loro case, anche con la forza e il terrore.

Oggi abbiamo quasi 6 milioni di rifugiati palestinesi dislocati nei campi profughi della Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza.

La Risoluzione Onu n. 194 del dicembre 1948 riconosce ai rifugiati il diritto al ritorno alle loro case, un risarcimento per coloro che hanno scelto il non ritorno e per la perdita o il danneggiamento di proprietà. Il “Diritto al Ritorno” resta ancora oggi una questione irrisolta.

La Guerra dei sei giorni nel 1967 e la vittoria di Israele sulla coalizione di paesi arabi ha definito un nuovo assetto territoriale in Cisgiordania a favore di Israele. Da allora Israele sta continuando, attraverso l’espulsione della popolazione palestinese, a occupare territorio, monopolizzando le risorse dell’acqua e i terreni fertili.

In Cisgiordania sono oltre 100 gli insediamenti-colonie dove vivono circa 700mila coloni israeliani. Quotidiane sono le aggressioni armate alla popolazione palestinese sia da parte dell’esercito israeliano che dei coloni. Dall’inizio del 2023 sono oltre 300 i morti.

Gli arresti amministrativi, un istituto che prevede la privazione della libertà a tempo indeterminato, senza processo e senza possibilità di difendersi da prove tenute segrete, vedono oggi nelle carceri israeliane 2.070 detenuti (dati della Ong israeliana per i diritti umani HaMoked). Circa 700 sono i minorenni sottoposti agli arresti amministrativi che vengono processati e detenuti secondo la legge militare israeliana, con processi iniqui, arresti violenti, spesso notturni e interrogatori coercitivi. La costruzione di un muro, 730 chilometri, ha diviso le città palestinesi dove vivono 3.250.000 persone di cui il 50% sono bambini, impedendo di fatto il libero movimento con gravi implicazioni sulla vita quotidiana.

Sull’occupazione dell’esercito israeliano nei territori occupati della Cisgiordania si è espresso il Consiglio di Sicurezza dell’Onu con la Risoluzione vincolante n. 2334 del 23 dicembre 2016: “Riafferma che la costituzione da parte di Israele di colonie nel territorio palestinese occupato dal 1967, compresa Gerusalemme est, non ha validità legale e costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale; insiste con la richiesta che Israele interrompa immediatamente e completamente ogni attività di colonizzazione nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, e che rispetti totalmente tutti i propri obblighi a questo proposito; ribadisce che non riconoscerà alcuna modifica dei confini del 1967, comprese quelle riguardanti Gerusalemme; sottolinea che la cessazione di ogni attività di colonizzazione da parte di Israele è indispensabile per salvaguardare la soluzione dei due Stati”.

Questa Risoluzione, come tante altre, è carta straccia. Salvo richiami o solleciti al governo israeliano di rispettare le diverse Risoluzioni dell’Onu, altro non c’è. Da qui il semaforo verde ad Israele per continuare ad opprimere, sfruttare, impedire la vita al popolo palestinese. È anche una responsabilità internazionale.

 

La striscia di Gaza

È un territorio abitato da oltre 2,2 milioni di persone su 365 chilometri quadrati. Questo dato fa di Gaza uno dei territori con la più alta densità abitativa del mondo, il 70% sono famiglie di profughi palestinesi del 1948.

Nel 2005 Israele ha dichiarato di aver cessato la sua occupazione sulla Striscia con l’evacuazione di 8mila coloni e il ritiro delle truppe, ma ha mantenuto la sua lunga mano su Gaza attraverso il controllo dei confini, dello spazio aereo e delle acque territoriali. Un controllo esercitato anche da regolari incursioni militari e da attacchi.

Quando nel 2006 Hamas, Movimento di resistenza islamico, ha vinto le elezioni riconosciute dagli osservatori internazionali, l’Unione europea, Israele, gli Stati Uniti e l’Autorità Nazionale Palestinese hanno immediatamente disconosciuto il risultato.

Dal 2007 Israele ha imposto un assedio sulla Striscia di Gaza. Ha privato la popolazione della libertà di movimento. Il passaggio di persone per e da Gaza è consentito soltanto per “casi umanitari ed eccezionali”. Ha imposto il controllo sull’anagrafe della popolazione, delle entrate economiche, delle attività amministrative, del transito delle merci e del sistema doganale, delle telecomunicazioni, sull’acqua, sulla rete fognaria. L’elettricità viene erogata per 6-8 ore al giorno.

A Gaza la popolazione ha accesso a meno di un quarto dei beni rispetto al 2005, e Israele permette l’entrata soltanto di quei prodotti che sono “essenziali alla sopravvivenza”, limitandone anche il numero. Un assedio che comporta l’impossibilità ad accedere a cure adeguate, un complessivo deterioramento del sistema sanitario generale causato dall’assenza di attrezzature sanitarie per la cura e la prevenzione o perché obsolete, e per una cronica carenza di medicinali. Siamo di fronte ad una crisi dell’educazione scolastica, tra sovraffollamento e mancanza di strutture, personale e risorse, unitamente ad una crisi del benessere psicofisico della popolazione, soprattutto tra i minori affetti da disordini post-traumatici.

Da parte di Israele il lungo assedio e il controllo sulla Striscia di Gaza sono motivati per esercitare pressioni sui gruppi armati palestinesi presenti nella Striscia. Tuttavia è evidente come a pagare le conseguenze di tale politica sia la popolazione civile, privata da un legame diretto con il mondo. L’obiettivo di Israele di separare la Sstriscia di Gaza dalla Palestina è riuscito. Hamas si è rafforzato e alla popolazione viene attribuito il ruolo di “entità terrorista”. Da qui le affermazioni del governo israeliano per bocca del ministro della difesa Gallant, che ha definito i palestinesi “animali”, giustificando così il genocidio in corso.

In questi anni i palestinesi hanno tentato tante strade per una soluzione: con le armi della non violenza, attraverso il boicottaggio, con appelli alla solidarietà, manifestazioni anche con settori dell’area pacifista israeliana, fino alla richiesta di applicazione delle innumerevoli Risoluzioni dell’Onu, in primis la n. 2334 del 2016 già citata, che condanna la colonizzazione e ne chiede l’immediata cessazione. Tutto questo senza esito.

 

La Resistenza è parte della storia della Palestina

La Carta delle Nazioni Unite stabilisce che il rispetto dei diritti umani e dell’autodeterminazione dei popoli costituisce uno dei fini principali delle Nazioni Unite. Sulla base del diritto internazionale umanitario, le guerre di liberazione nazionale sono state espressamente riconosciute attraverso l’adozione del primo protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949 come un diritto protetto e imprescindibile dei popoli sotto occupazione.

La Risoluzione 37/43 dell’Assemblea Generale dell’Onu, 1982, ribadisce “la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio coloniale e straniero e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”.

Hamas non è il solo movimento di resistenza in Palestina. Attribuire unicamente ad Hamas le azioni della resistenza è generico. Si corre il rischio di dare una matrice islamica alla lotta di resistenza palestinese.

 

L’attuale situazione politica e l’assetto territoriale presentano uno scenario che difficilmente potrà portare alla soluzione dei due Stati, come previsto dagli Accordi di Oslo del 1993. Possiamo guardare alla creazione di un unico Stato con pari diritti per tutti i cittadini. Questo per gli israeliani significa porre fine allo Stato a maggioranza ebraica e rinunciare alla Basic Law “Israele, patria del popolo ebraico” approvata nel 2018, che sancisce: “La realizzazione del diritto di autodeterminazione nazionale in Israele è unica per il popolo ebraico”.

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